Usain Bolt una schiappa rispetto all’uomo preistorico. Uno studio antropologico spiega perchè

di Dini Casali
Pubblicato il 14 Ottobre 2009 - 15:16| Aggiornato il 14 Luglio 2011 OLTRE 6 MESI FA

Usain Bolt, lo sprinter che ha schiantato ogni record, al cospetto degli uomini preistorici farebbe la figura della lumaca. Lo sostiene  l’antropologo australiano Peter McAllister, intitolato “Manthropology”, dove lo studioso smitizza sistematicamente il mito del progresso fisico-atletico della nostra specie, e in particolare del genere maschile.

Già il sottotitolo spiega tutto: «La scienza dell’inadeguatezza dell’uomo moderno» vuole confutare le magnifiche sorti e progressive della razza umana tutt’altro che lanciata verso sempre più elevati livelli di perfezione. Almeno fisicamente, in realtà, stiamo regredendo a stadi davvero imbarazzanti di resistenza, forza e velocità.

McAllister giunge a tali sconfortanti conclusioni a partire da impronte fossili di 20 mila anni fa: ha calcolato che gli aborigeni  solcavano a grandi falcate le pianure australiane alla velocità di 37 km all’ora, ma su un fondo molle, rigorosamente a piedi nudi e senza prendere in esame eventuali velocità di punta. E non serve andare troppo in là nel tempo: fino a un secolo fa, buona parte dei giovani Tutsi, del Ruanda, nelle cerimonie di iniziazione all’età adulta saltavano 2,50 metri e più, contro i 2,45 di Sotomayor, recordman attuale.

Questo bagno di umiltà, proposto da McAllister, ci serve in fondo a riconsiderare il rapporto con le nostre potenzialità fisiche. Le conquiste, soprattutto tecnologiche, nello sport, hanno oscurato il declino profondo di un uomo moderno che dopo la rivoluzione industriale, si è letteralmente seduto, atrofizzando in parte molti dei suoi muscoli.