ROMA – Un’ora di chiacchierata e sei sigarette. In mezzo considerazioni sul calcio malato, su José Mourinho, uno che “vende bene il suo prodotto” ma quanto a campo “gli manca ancora qualche rudimento”, e su Totti uno che “non è mai un problema è una risorsa”.
Zdenek Zeman non si nasconde e parla all’Espresso raccontando a Malcom Pagani la storia di una carriera “contro” fatta di tanti gol fatti e subiti e di tante parole che hanno lasciato il segno.
Innanzitutto la consapevolezza che nonostante Calciopoli nel calcio sia cambiato poco. Zeman, con il suo Pescara ne sa qualcosa: il tempo di vincere due partite e subito arriva l’arbitraggio killer (portiere espulso per stop di petto e rigore solare non visto) che lo allontana dalla vetta della classifica. L’analisi del boemo: “Non si è verificata nessuna rivoluzione. Non è cambiato nulla semplicemente perché le infezioni si debellano diversamente. Quelli che hanno sbagliato sono rimasti, salvo rarissime eccezioni, al loro posto. Il sistema è malato”.
Meglio, per Zeman, i padroni di una volta, come Massimino del Messina che, racconta, gli propose di far giocare Totò Schillaci con la maglia numero 11 invece che con la 9 per “confondere gli avversari”.
Di confusione Zeman, forse ne ha fatta in passato quando, spiega, ha rifiutato le panchine di Barcellona e Real Madrid “perché aveva dato la sua parola”. Sulla panchina del Real, ora, c’è José Mourinho. E l’allenatore del Pescara non risparmia una stoccata: “Nel vendere il proprio prodotto è tra i migliori. Gli manca qualche rudimento sul campo. Può ancora impararlo”.
Tra racconti e rimpianti non mancano le battute. Zeman spiega che esce poco di casa, non fa vita mondana. Pagani lo incalza e gli chiede: “Neppure qualche prima?”. E l’allenatore alimenta la sua icona, in panchina impassibile con la sigaretta in bocca: “Non vado al cinema dal ’75, hanno messo il divieto di fumo”.
Infine spazio anche all’infanzia, all’addio alla allora Cecoslovacchia comunista: “Per voi la politica è un’ossessione. E’ vero. Non mi sono mai iscritto alla Federazione giovanile comunista e ho pagato dazio, come mia sorella. Per lasciare Praga ci ho messo un anno. Ma io sono venuto in Italia grazie a mio zio. Senza di lui non sarei mai uscito da lì. Comunque, le spinte furono meno ideali di quanto si possa immaginare. Il sole e le ragazze, anche se questo non lo posso dire”.