“Masi in fuga dalla Rai”. Ma tra bilancio, nomine e direttori i “frutti” del suo lavoro restano

Pubblicato il 1 Maggio 2011 - 16:42| Aggiornato il 3 Maggio 2011 OLTRE 6 MESI FA

ROMA – La fuga dalla Rai, prima che il cavallo che campeggia a Saxa Rubra, dall’aspetto tutt’altro che docile e rassicurante, decida di prenderlo a calci. Carlo Rognoni, sul Riformista, sceglie l’ironia per spiegare come l’ex direttore generale Mauro Masi si sia accontentato di “un posto in un ente pubblico semiclandestino”, la Consap, pur di levare le tende da Viale Mazzini.

Quindi, da Rognoni arriva su Masi un giudizio severissimo: meglio lasciare “soprattutto se il rischio è di finire travolti nelle macerie di uno sconquasso creato dalla propria incapacità. Davvero meglio tornare nell’anonimato piuttostoche continuare a farsi chiamare«il peggior direttore generale che la Rai abbia mai avuto»”.

Quella del Riformista, però, non è una sola citazione di terzi affidata all’ideologia. Rognoni,  infatti, passa in rassegna la gestione di Masi sotto tutti gli aspetti e individua una serie di disastri.

Si comincia dall’economia: “Ragioniamo su quello che ci si aspetta che faccia un bravo capo azienda. Per esempio, che chiuda i bilanci in pareggio se non in attivo. E che cosa ha fatto Masi? Ha chiuso i conti dell’esercizio 2010- 2011 in rosso, con un buco di 116 milioni di euro e con un indebitamento di 220 milioni (che secondo le prime stime avrebbe potuto toccare i 340 milioni nell’esercizio 2011 – 2012). Per trovare una situazione economica peggiore bisogna risalire a più di dieci anni fa quando la politica si dovette inventare il decreto salva Rai” e l’inizio del risanamento fu affidato alla stagione dei professori”.

E’ solo l’inizio. Poi Rognoni passa alle scelte. Quella di Augusto Minzolini la più criticata: ” Che altro ci si aspetta da un manager capace? Per esempio che promuova i più meritevoli, i più professionali, i più creativi, i più equilibrati, quelli che quando si parla di pluralismo sanno di che si parlaƒ in fondo la Rai una volta era un servizio pubblico! Si diceva anche che era la più grande industria culturale del Paese. E Masi che fa? S’inventa di assumere uno come Minzolini per la direzione del Tg 1, il telegiornale della Rete ammiraglia, il più visto, il più importante. Minzolini non aveva mai diretto alcunché in vita sua? Pazienza! Forse che non tocca proprio a un bravo Capo avere anche il coraggio di osare? Non importa che in Rai ci siano più di mille seicento giornalisti. In fondo Minzolini piaceva tanto, ma proprio tanto a Berlusconi. D’altra parte sono bastate poche prove di telegiornale e subito c’è chi l’ha ribattezzato Scodinzolini”.

Per un Minzolini che viene c’è un Ruffini che dovrebbe andare. Ma Masi fallisce anche su questo punto: “Alla guida di Raitre c’è un professionista come Paolo Ruffini che ha portato la rete al successo. E Masi che fa? Si inventa di toglierlo da quel posto perché i suoi programmi non sono graditi al Capo dei capi, a Sua Emittenza il premier. Peccato che Masi non abbia fatto i conti con la possibilità che i dipendenti che si sentono discriminati per ragioni politiche, comunque penalizzati non per ragioni professionali ma per antipatia politica, possono ricorrere al tribunale del lavoro. E Ruffini è tornato al suo posto, a difendere i suoi programmi di punta”.

Infine le nomine. Masi, scrive Rognoni, lascia l’azienda con 13 direzioni ad interim. Tra Rai4, Rai5 e RaiStoria la situazione è sempre quella: il direttore non c’è. Masi va alla Consap, i risultati della sua gestione restano in Rai.