Elezioni 2022, sinistra in crisi? Nonostante leader e programma, sarebbe al 26% senza il fuoco amico

Elezioni 2022, sinistra in crisi? nonostante i leader inadeguati e programma autogol, sarebbe al 26% senza il fuoco amico di Renzi e Calenda

di Marco Benedetto
Pubblicato il 26 Settembre 2022 - 14:06| Aggiornato il 29 Settembre 2022 OLTRE 6 MESI FA
Elezioni 2022, sinistra in crisi? nonostante i leader inadeguati e programma autogol, sarebbe al 26% senza il fuoco amico di Renzi e Calenda

Elezioni 2022, sinistra in crisi? nonostante i leader inadeguati e programma autogol, sarebbe al 26% senza il fuoco amico di Renzi e Calenda

Elezioni 2022, sinistra in crisi. La colpa non è solo di Enrico Letta. Le difficoltà del Pd vengono da una onda lunga che nasce 30 anni fa con i governi di Giuliano Amato e Carlo Azeglio Ciampi.

Ebbe inizio allora il progressivo distacco della fascia più bassa dell’elettorato comunista. Questione morale, antimafia, diritti degli altri non affascinano chi deve tirare avanti stringendo la cinghia ogni fine mese. La libertà è un bene borghese.

Quel che resta del glorioso Pci e del Pd che Renzi portò al 40% è comunque un solido partito purtroppo retto da gente modesta e inadeguata. Li misuro con il mio mondo professionale. La crisi dei giornali si aggrava di mese in mese. Sono 20 anni che nessun governo se ne preoccupa. Tutto quello che un leader del Pd, degnissima persona pwebenissimo ha saputo proporre è una bella bicamerale.

Pd, un partito da 26% alle elezioni

Il Pd è comunque un partito che se Matteo Renzi e Carlo Calenda non avessero perseguito il loro miraggio scissionista alla Ghino di Tacco, è verosimile che una buona parte dei loro voti sarebbero rimasti sul Pd.

Sommate il 19% del Pd a quanto ritenete sarebbe confluito sul Pd dei voti di Calenda-Renzi e confrontatelo con il 26% di Giorgia Meloni. FdI sarebbe ancora il primo partito?
Primo partito, si noti, con appena poco più di un quarto dei voti.
Primo, peraltro, col 26%. Poco più di quanto bastò a Mussolini per andare al potere per 20 anni.
Il Pci arrivò al 34% nel 1976.
La Dc governò quell’anno con quasi il 39%.
La differenza è che a quel tempo di proporzionale la Dc era costretta a imbarcare in coalizione partitini e partitelli. Nel 1960 si arrivò all’appoggio esterno del Msi.
La differenza fra ieri e oggi è nella reazione del Pci. Nel giugno fu estremamente violenta. I portuali genovesi agirono come force de frappe e fecero cadere il Governo Tambroni. Oggi è possibile pensare che i nipoti di quei camalli abbiano votato per Meloni, erede politica di Michelini e Almirante.
Ancora 20 anni dopo, un tentativo di comizio di Almirante a Genova provocò tafferugli, feriti e arresti. E per impedire che uscisse la notizia con l’annuncio di un altro comizio dello stesso Almirante a Torino la redazione della Stampa scioperò compatta.

La figlia spirituale di Almirante

Oggi la figlia spirituale di Almirante si appresta a entrare da primo ministro a Palazzo Chigi e la foto chissà quanto ritoccata di Giorgia Meloni domina prima pagina e edizione on line del quotidiano.
Meloni ha vinto? ha conquistato l’Italia? Non esageriamo. Semplicemente FdI è il partito che ha preso più voti di una coalizione che è la stessa che portò Berlusconi al governo nel 1994. Solo che Berlusconi prese appena il 21% dei voti, An, mamma di FdI, il 14.
La grande differenza è nel sistema quasi maggioritario che la legge elettorale ha costruito per la assegnazione dei seggi.
Lo aveva studiato Renzi quando il Pd era a quota 40, prima di mandare tutto a ramengo con i suoi comportamenti da furbetto di provincia.
Ne usufruì Mussolini con la legge Acerbo, non ci riuscì De Gasperi nel 1948 con quella he i comunisti battezzarono legge truffa.
Come funzionerà la coalizione lo si capirà meglio quando si conoscerà la distribuzione dei seggi.
Meloni avrà l’incarico ma “non sarà facile per lei sbrogliare la matassa della sua coalizione”.