Milano è tutta fuori, contagiati compresi. Alto Adige abolisce epidemia. L’Italia non si tiene

di Lucio Fero
Pubblicato il 8 Maggio 2020 - 10:04 OLTRE 6 MESI FA
Coronavirus Fase 2. Milano è tutta fuori, contagiati compresi. Alto Adige abolisce epidemia. L'Italia non si tiene

Milano è tutta fuori, contagiati compresi. Alto Adige abolisce epidemia. L’Italia non si tiene (Nella foto Ansa, i Navigli pieni di gente)

ROMA – Milano è tutta fuori, fuori di casa, fuori dal lockdown e anche qua e là fuori di testa.

Le immagini e le cronache dicono e raccontano di una vita sociale che in fretta, molto in fretta, sta facendo come se coronavirus non fosse.

Aperitivi di gruppo ai Navigli: la fragile, intrinsecamente fragile, barriera della modalità asporto non tiene. A Milano, ma non solo a Milano, davanti ai bar e agli esercizi che riaprono c’è chi indulge a consumare in gruppo, in sosta collettiva. Poco o nulla distanziati, con mascherina ma anche senza.

Non solo a Milano e non solo davanti ai bar, ma a Milano/Lombardia ieri, appena ieri, altri 700 circa contagi accertati. Cui vanno ovviamente aggiunti gli asintomatici. 

A Milano e in Lombardia l’epidemia c’è, appena rallentata e per nulla domata. Ma molta, tanta gente di Milano fa come se epidemia fosse stata abolita o fosse svanita.

Settecento contagi appena 24 ore fa in sole 24 ore e Milano è tutta fuori. A Wuhan la cittadinanza, la gente è uscita dal lockdown quando il numero dei contagi era zero da giorni. Ed è uscita  per pochi, progressivi movimenti e rigorosamente con mascherine e protezioni.

Non risulta gli abitanti della Lombardia abbiano organismi e biologia diversa da quelli di Wuhan, eppure Milano è tutta fuori quando Lombardia è 700 contagi in un giorno.

Fontana governatore della Lombardia ora si dice preoccupato, poche ore fa cantava le lodi della riapertura totale, tra qualche ora le ricanterà. Due stelle polari lo guidano: dire occorre fare il contrario di quello che dice il governo di Roma, assicurare che niente e nessuno al mondo ha fatto meglio e di più del governo Regionale lombardo.

Galli professore e infettivologo dice a La Repubblica che “Milano è una bomba”. Troppa gente in strada, troppe eccezioni alle misure anti contagio, troppi contagiati evidentemente in giro. Ma il vento è cambiato: l’informazione e la narrazione e le tv sono un po’ stufe di malati e medici e ora inquadrature e interviste sono tutte per ristoratori, baristi, pasticceri, parrucchieri e chiunque prema e protesti in piazza o collegato in studio.

Pressione e protesta per riaprire i negozi, subito, ovunque. Le Regioni tutte hanno fatto pressione su  Conte per riaprire tutto lunedì 11. Quindi senza neanche aspettare i dati della prima settimana di Fase Due cominciata il 4 di maggio. 

In questa settimana, dal 4 all’11, aumentati o no i contagi, come è andata, come regolarsi? Chi se ne frega, che importa, importa nulla. E’ la posizione delle Regioni tutte. Che hanno nei loro governanti l’ansia e la fregola e l’assoluto bisogno di entrare nelle grazie degli elettori. E ora l’aria che spira forte è: riaprire.

Il ceto politico amministrativo tutto, soprattutto a livello di cosiddetto territorio, ha un grafico come stella polare, il grafico dei sondaggi, non certo quello dell’epidemia. Quindi le Regioni tutte non si tengono, fremono per riaprire.

Alto Adige già non si è proprio tenuto, riapre da domani. Tanto l’Italia è una Federazione tra una ventina di mini Stati indipendenti, le Regioni appunto e altri mini feudi locali. Che prima o poi il paese avrebbe pagato la follia, l’ubriacatura del regionalismo fatto Costituzione di fatto dal populismo istituzionale della sinistra era scritto.

Si poteva pensare che il prezzo di tale ubriaca follia fosse il pesante sperpero di denaro pubblico di cui Regioni e Province erano e sono idrovore e innaffiatoi. Così è stato, così è. Con coronavirus però si sta osservando come il prezzo sia anche una disgregazione anarco-corporativa della cosa pubblica e dello Stato.

L’Alto Adige non si tiene, il Veneto di Zaia fa finta di tenersi, solo finta. Tutti premono per tutti fuori e aperti da lunedì prossimo, tutti fuori, coronavirus compreso.

E tutti in sintonia con la gente, la pubblica opinione. Gente e pubblica opinione che nei comportamenti quotidiani stanno progressivamente stabilendo l’abolizione dell’epidemia.

Viene in evidenza la trama sottile e di pochissimo spessore della bugia buona di un intero popolo ligio, anzi pignolo nel rispettare i comportamenti anti contagio. Mai stato vero. Neanche quando era lockdown in casa.

Figurarsi ora che si esce. L’altra favola bella è quella di un popolo tutto adulto cui basta spiegare…Il problema è proprio quello di un popolo che spesso si comporta come il suo adulto tipo: irresponsabile, inconsapevole, sistematicamente convinto che il suo interesse, bisogno, voglia, perfino capriccio, immediati siano i confini di quel che conta al mondo.

La verità è che i tempi della sopportabilità sociale del lockdown non hanno coinciso, neanche un po’, con quelli dell’epidemia. Non si poteva restare in lockdown oltre il 4 maggio, non ce la si faceva più.

E l’Italia non si tiene, non sa tenere se stessa in semi lockdown fino a giugno. Questi i tempi della sopportabilità sociale, bisogna prenderne atto.

Coronavirus però è insensibile ai cambi di umore e volontà della gente, della pubblica opinione. Il 4 di maggio era tutt’altro che sparito o sconfitto. E non lo è tuttora. I tempi dell’epidemia non sono quelli delle Regioni, del governo, della gente, dei negozianti, tanto meno quelli degli aperitivi tornati e tornati.

Molti dei protocolli per la cosiddetta sicurezza sono di fatto impraticabili. Forse in fabbrica sì, si può fare. Ma in negozio troppe volte la distanza non sarà e non è rispettata. E così sui mezzi di trasporto. E così al parco pubblico.

Così è così sarà: dicono a scuola a settembre distanziando entrata e uscita delle classi di circa 15 minuto l’una dall’altra. A meno di non avere scuole con sole due, tre classi, ci vorrebbero tra le due, tre ore per entrare e altrettante per uscire.

Pressione, voglia, bisogno di aprire tutto e subito, questo il vento che tira e tira forte. Prendere atto, inutile e impraticabile andare contro vento. Quindi dare soddisfazione e ragione all’Italia che per mille motivi non si tiene.

Con però una postille, una nota a piè di riapertura. Non per malaugurio ma per puro ed elementare calcolo, si può anzi dire per scelta e volontà collettiva ci saranno, dopo svariate settimane di tutto riaperto e epidemia abolita, luoghi d’Italia dove i contagi si manifesteranno e saliranno e saliranno di numero. E’ una scelta, una volontà di popolo. Dove accadrà si chiuderà. Dio solo sa come e se in tempo e dio solo sa allora dove spirerà il vento della pubblica opinione.

E altra nota a piè di pagina, pagina del libro della cronaca vera del coronavirus in Italia. Bene, ok, la scelta è quella di convivere con l’epidemia facendo come non ci sia. Bene, forse non c’è altra via. Però poi dopo nessuno pianga troppo i morti. Se l’aria che tira è quella della cifra dei morti sopportabile (cento al giorno vanno bene? Magari cinquanta…) può anche essere l’aria, se non giusta, l’unica che c’è. 

Allora però come collettività perché non abbiamo il coraggio di dircelo con adulta coscienza mentre  lo facciamo? Abbiamo con tutta evidenza, già abbiamo il coraggio, chiamiamolo così, di farlo. Senza, per carità, dirci fino in fondo e chiaro quel che, senza tenerci, facciamo.