Processo Ruby, il giudice Domanico: “La legge Merlin ha fatto il suo tempo”

Pubblicato il 29 Giugno 2011 - 17:06 OLTRE 6 MESI FA

ROMA – La legge Merlin? “probabilmente ha ormai segnato il tempo”: a dirlo è stato il magistrato del caso Ruby, il giudice dell’udienza preliminare Maria Grazia Domanico. Lo ha fatto, scrive il Corriere della Sera, nell’ordinanza che il 27 giugno “ha ammesso la domanda con la quale due giovani miss piemontesi, Ambra B. e Chiara D., chiedevano di potersi costituire parte civile contro i tre indagati che la Procura di Milano vuole processare per induzione e favoreggiamento della prostituzione ad Arcore a beneficio dell’ ‘utilizzatore finale’ Silvio Berlusconi, e cioè l’impresario tv Lele Mora, il direttore del Tg4 Emilio Fede e la consigliere regionale lombarda del Pdl Nicole Minetti”.

Le due giovani sostenevano di aver patito un danno non patrimoniale costituito “dalla profonda ed enorme sofferenza subita per essere state considerate dagli imputati al pari di meretrici e indotte a tale attività facendole partecipare alla serata del 22 agosto 2010 presso la dimora di Arcore di Silvio Berlusconi, dimora che entrambe abbandonarono appena si resero conto del reale scopo della loro partecipazione”. Entrambe poi lamentavano “un danno patrimoniale dovuto alla perdita di chance lavorative causata dall’essere state considerate prostitute”.

Per le difese l’induzione e favoreggiamento della prostituzione è un reato contro la morale pubblica e il buon costume, dunque titolare del bene protetto e parte offesa può essere solo lo Stato. Secondo il giudice “l’interesse protetto è quello dello Stato alla moralità pubblica”. Però, ha sottolineato Domanico, un conto è chi è “persona offesa” da un reato, un altro è il soggetto che “può avere ricevuto un danno” dal reato.

“La persona dedita alla prostituzione non può definirsi persona offesa dal reato, mentre ben potrebbe in concreto subire un danno”: e ciò riguardo “non solo alle condotte più gravi”, come quelle di violenza, ma anche in relazione alle condotte ad esempio di induzione.

“La più recente giurisprudenza, sensibile agli aspetti più diversi che il fenomeno della prostituzione può assumere, ha avuto modo -scrive il giudice – di riconoscere alla persona dedita alla prostituzione la qualifica di soggetto eventualmente danneggiato dal reato”.

L’avverbio, sottolinea il Corriere della Sera, “indica che sono le diverse condotte contestate (tutte racchiuse in una normativa che probabilmente ha ormai segnato il tempo) che potranno o meno determinare un danno potenziale ai soggetti qualificati come prostitute”.

Tutto in astratto per ora, perché “in questa fase non può essere compiuta alcuna valutazione del merito”. Basta che “in astratto la condotta di induzione alla prostituzione possa arrecare un danno alle persone che vengano avvicinate, convinte, persuase, in una parola indotte a prostituirsi” . E “a nulla rileva” che esse siano o meno già prostitute.