ROMA – Governo giallorosso, regalo di nascita dai mercati. Regalo, mica regalino: tra 5 e 10 miliardi, euro più euro meno secondo le stime e le proiezioni. Tra minor spesa per interessi sul debito ed effetti indotti sulle banche e l’intero sistema del credito, se lo spread continua a quota circa 150, il regalo è di quelli che fanno sostanza e non figura. Spread a 150 più o meno, da un decennio nessun governo partiva con spread così leggero.
E’ il regalo di benvenuto che il neonato governo giallorosso ha trovato ad accoglierlo. Un regalo confezionato dai mercati e significato dallo spread in caduta libera, mai così basso da 10 anni a questa parte per un esecutivo appena insediato. Regalo a cui andranno aggiunti i margini e i miliardi che si liberano a seguito della rinnovata flessibilità che l’Europa è pronta a concedere all’Italia libera dall’euro antipatizzante Matteo Salvini. Maggiore flessibilità dalla Bce, o meglio la stessa di Draghi con la Lagarde. Maggiore flessibilità dalla Commissione Ue. Perché tutta Europa costeggia recessione, non solo l’Italia. E perché secondo Ue tutta Italia senza Salvini al comando merita premio. Se il buongiorno si vede dal mattino, almeno sul fronte finanziario, le premesse per il nuovo governo che oggi ha prestato giuramento sono più che buone.
Mai così basso da 10 anni a questa parte. Lo spread tra Btp e Bund, uno dei termometri dell’economia a cui da tempo guardano tutti con ansia, non è mai stato così basso per i nuovi governi tenuti a battesimo nell’ultimo decennio. A 8 anni di distanza dalla tragica situazione ereditata dal governo Monti con lo spread arrivato addirittura a toccare i 700 punti base, il Conte-bis parte decisamente avvantaggiato da questo punto di vista, forte di uno spread sceso ormai sotto la soglia dei 150 punti. Quando si insediò Mario Monti (16 novembre 2011) lo spread oscillava attorno ai 570 punti base; il 28 aprile 2013, quando arrivò Enrico Letta, si aggirava sui 300 e scese a quota 200 quando a Letta si sostituì Matteo Renzi (22 febbraio 2014). A dicembre 2016, all’arrivo di Paolo Gentiloni, lo spread era sui 180 punti mentre, a giugno 2018, alla nascita del primo governo Conte, era tornato a quota 300. Ipotizzando e sperando di tenere la quota del differenziale tra i nostri titoli e quelli tedeschi al livello di oggi – 150 punti base – per i prossimi anni, questo si tradurrebbe in un risparmio compreso tra i 5 e i 10 miliardi di euro a seconda delle stime.
Insieme allo spread in questi giorni sono anche calati, e di molto, i rendimenti dei titoli di Stato. Che tradotto significa che lo Stato deve e soprattutto dovrà pagare meno interessi, molti meno, sui soldi che prende a prestito dai mercati attraverso l’emissione di titoli pubblici. In questi giorni anche i titoli di Stato italiani hanno infatti raggiunto uno dei livelli di rendimento più bassi della loro storia. I BTP decennali, ad esempio, non hanno mai pagato un tasso di interesse così basso a chi li acquista. Per lo Stato italiano, quindi, non è mai stato così conveniente finanziarsi indebitandosi. Il 29 agosto, per esempio, il ministero dell’Economia ha venduto 4 miliardi di euro di BTP a dieci anni con un tasso di interesse dello 0,96 per cento, il rendimento più basso di sempre. Considerando che probabilmente nei prossimi dieci anni l’inflazione sarà almeno pari o superiore all’1 per cento (è stata dell’1,2 per cento nel 2018) significa che chi ha comprato BTP si vedrà restituire una cifra di valore inferiore a quella che ha investito oggi.
E poi c’è l’Europa e la flessibilità in arrivo che certamente sarà concessa all’Italia e non solo, quel che c’è da capire è il ‘quanto’. Solo pochi giorni fa il Financial Times aveva rivelato un piano dell’Ue per rivedere le regole economiche dell’eurozona, ovviamente in senso meno restrittivo e, se quel piano è stato definito da Bruxelles “un brainstorming tecnico”, la neo presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen ha comunque promesso all’Europarlamento di voler sfruttare tutta la flessibilità consentita dalle regole di oggi. Ragion per cui il nuovo governo M5S-PD mira ad adottare la stessa strategia usata dai governi del Partito Democratico dal 2014 al 2018 quando l’allora presidente Juncker concesse a Renzi e Gentiloni oltre 30 miliardi in flessibilità. Ursula von der Leyen che aveva battezzato Gualtieri ministro dell’Economia in Italia “un bene per l’Europa e l’Italia”.
Disponibilità alla flessibilità frutto dell’eliminazione politica, in buona parte auto-eliminazione, di Matteo Salvini e del suo sovranismo antieuropeo, ma ancor più frutto della situazione economica mondiale con la guerra dei dazi tra Usa e Cina, la Brexit, la frenata delle principali economie europee Germania in testa. Fattori che spingono l’Europa a nuove posizioni per non commettere gli errori del passato e che spingono quindi Bruxelles ad un cambio di rotta e che fanno sentire i loro effetti anche a Francoforte, alla Bce, dove la nuova presidente Christine Lagarde ha già manifestato l’intenzione di tenere aperti i “cordoni della borsa” seguendo la linea tracciata dal suo predecessore Mario Draghi.
Insomma di fronte a guai o più grossi o più urgenti (Cina-Usa, Brexit No deal, Pil tedesco) i mercati e la Ue hanno per il momento depennato l’Italia dall’elenco dei rischi gravi qui e subito per l’economia mondiale. Un regalino che è più di un bavaglino per il neonato giallorosso. Purché il neonato governo non confonda regalo di nascita con assistenza a vita.