Roma Film fest. E lo chiamano porno d’autore: film con la Ferrari fischiatissimo

Pubblicato il 15 Novembre 2012 - 14:32| Aggiornato il 16 Marzo 2015 OLTRE 6 MESI FA

Isabella Ferrari sul red carpet del Roma Film Fest (LaPresse)

ROMA – “E la chiamano estate”, film in concorso al Roma Film Fest, è stato oggetto di fischi e battutacce durante la proiezione per la stampa. Durante la conferenza stampa poi, il regista Paolo Franchi, la produttrice Nicoletta Mantovani e l’attrice protagonista Isabella Ferrari hanno subito una specie di processo. Siccome il film parla di sesso, o meglio della mancata corrispondenza tra sesso e amore, anche una sessuologa si è incaricata di smontare le supposte incongruenze della trama (“il protagonista è affetto di impotenza secondaria situazionale, è medico, come fa a non saperlo?”).

Comunque. La bella cinquantenne Isabella Ferrari non mostra disagi nel suo nudo integrale, si fida appunto dell’autore e degli esibiti richiami ad Antonioni e alle citazioni moraviane. Come sottolinea Marco Giusti, Anna/Isabella “parte mostrandoci il primo piano della sua topa e sarà nuda praticamente in ogni scena”. La vicenda, a grandi linee: Dino (Jean Marc Barre) ama Anna ma non riesce a far l’amore con lei. Sublima il sentimento frequentando club equivoci e prostitute, oltre a chiedere ad Anna di andare con altri uomini, arrivando a sondare perfino i suoi ex fidanzati. Membri maschili eretti, scene di fellatio, orge e pratiche borderline non scalfiscono le certezze degli sceneggiatori (ben sei) nonostante il coro di critiche che permette a Libero di sentenziare “Il porno d’autore è una boiata”.

Se per Giusti vale già la palma di cult movie della rassegna (difficile capire se sia un complimento) la critica, in varia misura, si è accanita con le pretese autoriali, intelletualistiche del regista, che a stento si difende con i giornalisti (“La mia è un’opera per pochi”) nella “fossa dei leoni”. Durante la proiezione si sono sentite battute che già imperversano sui social network. Metà attribuibili al film stesso, l’altra metà ai poco rispettosi critici.  Più della vagina di Isabella Ferrari o del pene di Filippo Nigro in primo piano, ha nuociuto al film un certo velleitarismo formale nel restituire il dramma dell’amor impossibile. Dramma e tragedia finali che sono rivissuti attraverso faticosi legami tra l’onirico e lo psicanalitico, con nodi narrativi spesso inestricabili. Quando il protagonista, disperato si avvicina al mare, dal buio della sala una voce prorompe: “Bùttate”. Anticipando e neutralizzando una fine, peraltro, già nota.