Gesù disse: nella parabola dei talenti l’essenza della nostra ragione di vita

a cura di Sergio Carli
Pubblicato il 14 Aprile 2024 - 06:30
Gesù disse: nella parabola dei talenti, una delle 4 ritenute autentiche, c’è l’essenza della nostra ragione di vita, il giudizio del biblista

Gesù e la parabola dei talenti,

Gesù disse. Nella parabola dei talenti, una delle 4 ritenute autentiche, c’è l’essenza della nostra ragione di vita. Abbiamo avuto 5 o 1 talenti, siamo nati duchi o plebei o contadini ma non è dipeso dalla nostra scelta: è il caso o il destino o gli astri o la volontà di Dio. Il nostro merito viene dopo. Gratuitamente avete ricevuto, gratuitamente date (Matteo 9,. 35), ha ammonito Gesù.

 E sul rapporto fra quel che hai avuto e quello che hai dato al tuo prossimo si baserà la misura del giudizio divino. Secondo il biblista cattolico John Paul Meier, rispettato da Benedetto XVI e autore dei 5 volumi di Un ebreo marginale, quella dei talenti è una delle quattro parabole riferite dai Vangeli sinottici che si possono considerare autentiche cioè uscite originariamente dalla voce di Gesù (le altre essendo quella del seme di senape,  Mc 4:30–32, Mt 13:31–32, Lc 13:18–19; dei vignaioli omicidi, Mc 12:1–11, Mt 21:33–43, Lc 20:9–18;  e del banchetto nuziale, Mt 22:2–14, Lc 14:16–24)

Alla versione di Matteo si aggiunge quella di Luca, simile nella struttura e nella sostanza, diversa nella entità dei valori in gioco. Matteo parla di talenti, Luca di mine. Un talento valeva 22 mesi di lavoro di un operaio, la mina poche giornate. La parola talento è arrivata fino a noi nel significato traslato di dote congenita. La mina c’è ancora ma vuol dire altra cosa.

TALENTI O MINE, LE HA DETTE PROPRIO GESù

Secondo Meier le due versioni sono arrivate a noi da differenti tradizioni e autonomamente ai due evangelisti. Che poi una volta Gesù abbia parlato di talee una di mine dipende sicuro dal fatto che la avrà ripetuta chissà quante volte, chissà con quante varianti.

Ed ecco di seguito le due versioni di Matteo e Luca.

Matteo 25,14-30

Avverrà come di un uomo che, partendo per un viaggio, chiamò i suoi servi e consegnò loro i suoi beni.  A uno diede cinque talenti, a un altro due, a un altro uno, a ciascuno secondo la sua capacità, e partì.  Colui che aveva ricevuto cinque talenti, andò subito a impiegarli e ne guadagnò altri cinque. Così anche quello che ne aveva ricevuti due, ne guadagnò altri due. Colui invece che aveva ricevuto un solo talento, andò a fare una buca nel terreno e vi nascose il denaro del suo padrone.

Dopo molto tempo il padrone di quei servi tornò, e volle regolare i conti con loro.  Colui che aveva ricevuto cinque talenti, ne presentò altri cinque, dicendo: Signore, mi hai consegnato cinque talenti; ecco, ne ho guadagnati altri cinque. 

Bene, servo buono e fedele, gli disse il suo padrone, sei stato fedele nel poco, ti darò autorità su molto; prendi parte alla gioia del tuo padrone. Presentatosi poi colui che aveva ricevuto due talenti, disse: Signore, mi hai consegnato due talenti; vedi, ne ho guadagnati altri due. Bene, servo buono e fedele, gli rispose il padrone, sei stato fedele nel poco, ti darò autorità su molto; prendi parte alla gioia del tuo padrone.

Venuto infine colui che aveva ricevuto un solo talento, disse: Signore, so che sei un uomo duro, che mieti dove non hai seminato e raccogli dove non hai sparso; 25 per paura andai a nascondere il tuo talento sotterra; ecco qui il tuo. Il padrone gli rispose: Servo malvagio e infingardo, sapevi che mieto dove non ho seminato e raccolgo dove non ho sparso; avresti dovuto affidare il mio denaro ai banchieri e così, ritornando, avrei ritirato il mio con l’interesse.  Toglietegli dunque il talento, e datelo a chi ha i dieci talenti. Perché a chiunque ha sarà dato e sarà nell’abbondanza; ma a chi non ha sarà tolto anche quello che ha. E il servo fannullone gettatelo fuori nelle tenebre; là sarà pianto e stridore di denti.

La versione di Luca . Gesù disse dunque: “Un uomo di nobile stirpe partì per un paese lontano per ricevere un titolo regale e poi ritornare. Chiamati dieci servi, consegnò loro dieci mine, dicendo: Impiegatele fino al mio ritorno.
Ma i suoi cittadini lo odiavano e gli mandarono dietro un’ambasceria a dire: Non vogliamo che costui venga a regnare su di noi.

Quando fu di ritorno, dopo aver ottenuto il titolo di re, fece chiamare i servi ai quali aveva consegnato il denaro, per vedere quanto ciascuno avesse guadagnato.

Si presentò il primo e disse: Signore, la tua mina ha fruttato altre dieci mine. Gli disse: Bene, bravo servitore; poiché ti sei mostrato fedele nel poco, ricevi il potere sopra dieci città.

Poi si presentò il secondo e disse: La tua mina, signore, ha fruttato altre cinque mine. A questo disse: Sarai tu pure a capo di cinque città.

Venne poi anche l’altro e disse: Signore, ecco la tua mina, che ho tenuto riposta in un fazzoletto; avevo paura di te che sei un uomo severo e prendi quello che non hai messo in deposito, mieti quello che non hai seminato.

Gli rispose: Dalle tue stesse parole ti giudico, servo malvagio! Sapevi che sono un uomo severo, che prendo quello che non ho messo in deposito e mieto quello che non ho seminato: perché allora non hai consegnato il mio denaro a una banca? Al mio ritorno l’avrei riscosso con gli interessi.

Disse poi ai presenti: Toglietegli la mina e datela a colui che ne ha dieci. Gli risposero: Signore, ha già dieci mine!

Vi dico: A chiunque ha sarà dato; ma a chi non ha sarà tolto anche quello che ha. E quei miei nemici che non volevano che diventassi loro re, conduceteli qui e uccideteli davanti a me”.

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