Grillo rivoluzione ma senza affaticarsi: 60 anni pensione! Lavoro: 30 ore o 20

di Alessandro Camilli
Pubblicato il 22 Febbraio 2013 - 14:38| Aggiornato il 26 Luglio 2022 OLTRE 6 MESI FA

ROMA – Settimana lavorativa di 30 ore, in futuro anche 20, e tutti in pensione a 60 anni. Sono le proposte di Beppe Grillo, per la serie facciamo la rivoluzione, ma con calma e soprattutto senza affaticarci.

Incarna, l’ex comico genovese, l’antipolitica, l’antipassato, l’antitutto. Ma le sue due ultime proposte ricordano da vicino le promesse elettorali di altri e molto più classici leader politici. Nonché i peggiori vizi dei classici elettori, prontissimi ad innamorarsi degli slogan più che dei contenuti. Che fine hanno fatto, viene da chiedersi, la meritocrazia, il valore del lavoro, tutte quelle istanze che Grillo dovrebbe contrapporre alla corruzione, alla burocrazia e al malcostume verso cui si scaglia?

La riduzione dell’orario lavorativo e l’abbassamento dell’età pensionabile sono due proposte riportate dal Corriere della Sera e dalla Stampa. Probabilmente giornalacci pieni di bugie conoscendo l’idiosincrasia che il leader del M5S nutre nei confronti della stampa e dei giornalisti tutti. Ma proposte che, almeno sino a smentita, rimangono. “Appena arriveremo in Parlamento proporremo la riduzione dell’orario di lavoro a 30 ore settimanali. In Germania ne discutono, dobbiamo farlo anche noi con la prospettiva di arrivare, magari tra vent’anni, a 20 ore”, ha detto Grillo a Viterbo dimenticando la sfiducia che nutre solitamente, soprattutto in tema di scelte economiche, con Berlino. E poi questa storia della Germania semplicemente non è vera, così come non era vera quella del “in tutto il mondo gli operai partecipano alla proprietà delle imprese”. Non sono in realtà bugie ma neanche verità, sono cose orecchiate, capite a metà, rimasticate e sfornate poi formato annuncio choc.

“In ogni piazza si scandiscono le regole della nuova Italia: ‘Un tetto di quattro milioni alle pensioni per aumentare quelle minime’. Ma anche il ritorno dei 60 anni come limite per andare in pensione”, scrive La Stampa raccontando dell’ultimo comizio grillino.

Due belle proposte certo accattivanti, capaci senza dubbio di attirar elettori come e più dell’antipolitica che da sempre Grillo cavalca. Ascoltandole torna però in mente una celeberrima battuta di un film: “Ma come, c’era la rivoluzione e tu stavi prendendo un cappuccino?”. Singolare infatti fare la rivoluzione dell’economia, del Pil, della ricchezza in più da produrre e da distribuire secondo migliore giustizia sociale lavorando 30, magari 20 ore a settimana e andando in pensione a 60 anni. Chi pagherà, ad esempio, le pensioni di milioni di 60enni se nessuno o quasi produrrà? Probabilmente nessuno. Ma Grillo sembra aver, ancor prima d’essere entrato in Parlamento, mutuato un antico vizio della politica nostrana: la promessa elettorale.

Quella promessa ottima per attirar voti che poi tanto nessuno manterrà, e non sarà mantenuta perché irrealizzabile dal punto di vista tecnico ma soprattutto perché per chi sta all’opposizione non c’è nulla di più semplice e demagogico che fare una proposta per poi poter dire “noi l’avevamo chiesto, sono gli altri che non hanno voluto farlo”.

Se questo delle proposte elettorali buone solo a scaldar cuori e conquistar consensi è però un antico abito italiano che anche Grillo sta scoprendo comodo, nuovo e particolarmente stridente appare la volontà di Grillo e dei grillini di cambiare il mondo e l’Italia all’insegna del facciamolo con calma, lavorando poco e per poco tempo. Saranno stati prodotti di vecchie ideologie e avranno creato mostri e sfaceli come dice il comico, ma una volta, chi voleva fare la rivoluzione, chi voleva cambiare il mondo era pronto a rimboccarsi le maniche. Ma in fondo siamo un Paese di ‘pantofolai’, e Grillo ne è, anche lui a suo modo, l’ espressione. La Rivoluzione, magari con la maiuscola ma senza affaticarsi e farsi male che teniamo tutti famiglia: è questo il grande sogno italiano.