Libia e mondo arabo in rivolta. Europa basta con gli espedienti prima che sia troppo tardi

di Gennaro Malgieri
Pubblicato il 11 Marzo 2011 - 00:27 OLTRE 6 MESI FA

Soltanto adesso facciamo i conti con la retorica delle politiche statunitensi ed europee nell’area mediterranea e mediorientale che ha favorito la percezione in Occidente di una realtà falsata dalle esigenze di una realpolitik da straccioni, paga soltanto di assicurarsi commesse petrolifere da dittatori sanguinari e tragicamente ridicoli. Le rivolte in Tunisia, in Algeria, in Egitto, in Libia, in Bahrein, ed i possibili rivolgimenti in Libano, in Siria, in Giordania, nello Yemen e perfino in Arabia Saudita – paesi questi ultimi che vivono giorni di trepidazione e le loro leadership cercano di correre ai ripari varando o promettendo timide misure democratiche – dimostrano che l’effetto domino temuto è diventato un vero e proprio “contagio” in un’area che si riteneva sostanzialmente stabile perché si faceva affidamento sull’inossidabile trasmissione del potere da parte dei dittatori ai loro familiari. E già questo avrebbe dovuto far sobbalzare le coscienze dei “custodi della democrazia”in Occidente.

Come mai nei Paesi europei non si è mai avuta la consapevolezza di ciò che poteva accadere dove il potere autocratico di alcune inossidabili nomenklature aveva impoverito le popolazioni e negato i diritti elementari? La risposta è semplice. Gli Stati Uniti e l’Europa hanno sempre favorito, anche di fronte ad una evidenza che li avrebbe dovuti sconsigliare, la stabilità dei regimi che stanno cadendo o sono caduti a scapito dell’incoraggiamento, come era da attendersi dopo i fatti iracheni, di reali processi di democratizzazione che si stavano manifestando nell’area e che soprattutto l’Unione per il Mediterraneo, ormai agonizzante, non ha saputo o voluto vedere. Quel che non hanno fatto i politici occidentali ed i loro burocrati, l’ha fatto il web, vero motore delle prime avvisaglie di democratizzazione che speriamo possano irrobustirsi grazie anche alla maturità dei militari che dovrebbero resistere alle tentazioni di prendere il posto delle vecchie classi dirigenti e favorire forme di partecipazione popolare ai processi di ricostruzione dei Paesi della sponda Sud del Mediterraneo.

Se però le amministrazioni Bush e Obama non hanno rinunciato a una Freedom Agenda, che in qualche modo compensasse l’obbligata necessità di affari e relazioni stabili con i governi rovesciati o in crisi, l’Unione europea ha abdicato a svolgere un ruolo propulsivo nell’area, praticando pigramente un “bon usage” dell’autoritarismo che connotava quei regimi alleati dell’Occidente, forse per appagare uno svogliato neo- realismo più rassicurante e meno impegnativo.

L’esaurimento della politica euro-mediterranea delineata a Barcellona nel 1995, che prevedeva l’aiuto allo sviluppo politico dei regimi arabi verso la democrazia, non è stato superato dal varo dell’Unione per il Mediterraneo, che si è presto rivelata un “esperimento” fallimentare da tutti i punti d vista. I paesi europei hanno sempre proceduto in ordine sparso, concorrenti più che collaboranti. Di fatto la politica europea verso un’area di fondamentale interesse strategico ha finito per privilegiare i rapporti commerciali ed economici a scapito di quelli politici. L’Unione per il Mediterraneo, nata nell’estate 2007 per iniziativa dell’appena eletto Nicolas Sarkozy, e ratificata un anno dopo da tutti gli Stati interessati, con l’obiettivo di superare le divergenze emerse dal Processo di Barcellona, non è andata più in là delle buone intenzioni. Se il focus su progetti in specifici settori tecnico-economici (disinquinamento del Mediterraneo, autostrade del mare, autostrada del Maghreb, ferrovia transmaghrebina, piano solare mediterraneo, promozione delle piccole e medie imprese) sembrava l’approccio migliore e più funzionale per fare avanzare la cooperazione – rafforzata o a geometria variabile – tra i paesi dell’UE e i partner mediterranei, scindere il piano economico da quello politico si si è rivelato esiziale all’auspicato successo dell’iniziativa.