‘Ndrangheta, confessioni di un boss. Occhi di ghiaccio, da Cosenza al mondo

di Pino Nicotri
Pubblicato il 10 Febbraio 2020 - 11:50| Aggiornato il 31 Marzo 2020 OLTRE 6 MESI FA
'Ndrangheta, confessioni di un boss, Pino Franco. Occhi di ghiaccio, da Cosenza al mondo

Ndrangheta, confessioni di un boss. Occhi di ghiaccio, da Cosenza al mondo (nella foto, la copertina del libro di Pino Nicotri)

Ho scritto un nuovo libro, questa volta su un capo ‘ndranghetista. Si intitola: Il Boss dagli Occhi di Ghiaccio. Ve lo presento.

Non c’è solo il racconto di una serie impressionante di omicidi, spesso efferati, di guerre feroci tra bande e di delitti dei tipi più svariati nelle confessioni senza peli sulla lingua dell’ex grande capo della ‘ndrangheta di Cosenza, al secolo Pino Franco.

Confessioni messe nero su bianco dal protagonista nel libro che ha per titolo il suo non casuale soprannome: Il Boss dagli Occhi di Ghiaccio. Boss che ha scalato tutti i sette gradi, detti in gergo “meriti”, della ‘ndrangheta, della quale racconta non solo i riti di affiliazione e promozione ai vari meriti, ma anche e soprattutto gli intrecci con la politica, con il mondo degli appalti, con i partiti, con le varie istituzioni, dalla magistratura alle forze dell’ordine, con Milano e il Nord Italia, con Roma, con la camorra.

Specie quella di don Peppino Cirillo, sbarcato alla grande nella piana di Sibari, con la mafia, con la ‘ndrangheta delle altre città della Calabria, con la Romania del dopo Ceausescu finita nelle mani di chi aveva affiancato Ceausescu ma aveva saputo riciclarsi dopo averlo fatto fucilare.

Non manca neppure il tentativo di trasformare in 1.500 miliardi di lire i quintali di carta filigrana fatti sparire dalla zecca di Stato e conservate nei sotterranei del Vaticano (conservate ancora oggi o trasformate in banconote in qualche Paese compiacente?).

Organizzata dal boss d’alto rango Luigi Mancuso, detto il Supremo, mentore di Pino Franco e regnante nelle aree di Vibo Valentia, Gioia Tauro, nonché in zone del centro e del nord Italia più diramazioni all’estero, c’è anche l’apposita riunione al villaggio turistico Sayonara di Nicotera Martina chiesta nell’estate del ’92 dal boss dei boss della mafia Totò Riina, dopo le stragi compiute per massacrare i magistrati Giovanni Falcone e Paolo Borsellino con le relative scorte. Riina proponeva l’alleanza comune nella “guerra contro lo Stato”.

La guerra condotta l’anno dopo con autobombe e altre scie di morti a Roma, Firenze e Milano nel tentativo di costringere lo Stato non solo ad abolire l’articolo 90 e il 41 bis, che avevano istituito il carcere duro per i mafiosi e affini, ma anche a cambiare  la legge sui pentiti: perché  “troppo pericolosa per tutti noi, può diventare un macello”.

Pino Franco voleva modernizzare la ndrangheta e che finisse l’epoca degli omicidi e delle sparatorie. Voleva si puntasse invece sugli appalti di tutti i tipi, privati e pubblici, per lucrare buone percentuali dei capitali investiti offrendo in cambio protezione e tranquillità durante la realizzazione dei lavori appaltati. Mettendosi d’accordo con largo anticipo coi politici, progettisti, imprenditori e manager, il boss dagli occhi di ghiaccio aveva varato quella che lui chiamava “procedura paralecita”: ottenuti gli appalti, decideva a chi distribuirli sul territorio facendo in modo che venisse impiegata sempre manodopera locale, in modo che potesse “portare il pane a casa” anziché vedere arrivare operai e impiegati da altre località, magari neppure calabresi. 

Dalla narrazione di Pino Franco viene fuori uno spaccato incredibile. Allarmante. Uno spaccato che purtroppo però non è solo della società calabrese… Ne emerge infatti che le grandi associazioni criminali senza complicità nel resto dell’intera società non potrebbero esistere: sarebbero pesci privi dell’acqua nella quale nuotare e grazie alla quale respirare. Il malaffare e la corruzione che sempre l’accompagna si infiltrano e si diffondono  come un cancro.

Realtà sempre più confermata dalle cronache del BelPaese. Sotto questo profilo è divertente notare che a un certo punto il boss ha aperto e man mano ingrandito con due suoi amici la Boutique dei Fiori, diventata il suo quartier generale. 

Dalla Boutique dei Fiori partivano condanne a morte, attentati, ordini di rappresaglia, e nella Boutique dei Fiori si decidevano estorsioni, grassazioni, alleanze, guerre, tregue e i periodi di pace. Vi arrivavano in visita “di lavoro” boss amici e nemici anche dal resto della Calabria, uomini d’onore, politici in cerca di voti e di favori mortali, imprenditori in cerca di protezione.

E tra i clienti, quelli che si limitavano a comprare fiori, piante, corone di laurea, corone per funerali, e ordinare addobbi per le più svariate occasioni, feste e ricorrenze, compresi i ricchi addobbi per la visita in città di papa Wojtyla il 6 ottobre ’84, non mancavano poliziotti, carabinieri, direttori del carcere locale, militari della Finanza… Tutti trattati coi guanti gialli da ricambiare all’occorrenza con qualche favore compiacente, dalle soffiate ad altro ancora.

A porre fine all’epopea ndranghetista non solo del boss dagli occhi di ghiaccio, fatto segno per tentare di ucciderlo a tre sparatorie, due delle quali mentre era in carcere, e al suo sogno di modernizzazione, sarà l’eccesso di crudeltà. Crudeltà per giunta inutile. Che convincerà più d’uno a saltare il fosso e vuotare il sacco dai magistrati per salvarsi la pelle. 

I blitz e le retate contro la ndrangheta, cioè contro la mafia calabrese, si susseguono con frequenza, ma sembrano il  tentativo di prosciugare il mare con un secchio o con un cucchiaino.

Solo l’anno scorso ci sono stati 19 arresti l’11 marzo, 30 il 4 luglio, 34 l’8 ottobre, 70 il 5 novembre, 334 lo scorso 20 dicembre con lo spettacolare blitz ordinato dal procuratore della Repubblica di Catanzaro Nicola Gratteri, con manette anche Bergamo, colonizzata dalla ndrangheta coi soldi del traffico di cocaina.  E l’anno in corso si è aperto con i 18 arresti del 28 gennaio.

Ha ragione Gratteri quando nei suoi libri scrive che la ndrangheta è più potente ed estesa – in Italia e nel mondo – della stessa mafia, oltre che della camorra e della Sacra Corona Unita.

I blitz si susseguono, eppure da anni ricorrono spesso i nomi degli stessi clan, come quello dei Mancuso. Il boss Luigi Mancuso è tra i 334 arrestati dello scorso dicembre mentre tornava in treno da Milano. Ed è lo stesso Luigi Mancuso mentore di  Pino Franco, nonché organizzatore della riunione al Sayonara chiesta da Totò Riina.