Calcio. Abete forever: sistema Figc-Lega anti sport. Veti, interessi, miopia

di Renzo Parodi
Pubblicato il 16 Gennaio 2013 - 09:37 OLTRE 6 MESI FA
Giancarlo Abete (LaPresse)

ROMA – Giancarlo Abete, rieletto, con unanimità bulgara, a presidente della Figc (Federazione italiana gioco calcio) è una conferma della coriacea, ineluttabile verrebbe voglia di dire, vocazione conservatrice del Paese-Italia.

Se qualcuno ha ancora dei dubbi, infatti,  può alternativamente rivolgere lo sguardo alla corrente campagna per le elezioni 2013, con la sfilata di sfingi salmodianti che ripetono a pappagallo le ormai triste e ritrite formule acchiappavoti.

Oppure – e il risultato è lo stesso: disgusto profondo – dedicarsi alla sommaria esegesi del cahier di buoni propositi, ovviamente riformisti, alla quale si dedicano i presidenti del calcio professionistico italiano. E infine confrontare tutte quelle declamazioni che puzzano di stantio con le azioni realizzate dai sepolcri imbiancati che reggono le sorti del più popolare sport italiano.

Abete, dirigente di lunghissimo corso (25 anni) nella stanza dei bottoni, già per dodici anni vice di Franco Carraro, scampato allo tsunami del calcio scandalo del 2006 (passato alla storia come Calciopoli), sopravvissuto a ogni vicenda, comprese le due bocciature alle candidature dell’Italia agli Europei (2008 e 2012), è stato riconfermato alla presidenza della Figc con plebiscito bulgaro e acclamazione finale come viatico per il suo ultimo mandato quadriennale.

Praticamente tutto il calcio compatto ha approvato la politica che ha portato – è giusto ricordarlo – anche un titolo mondiale nel 2006 e una finale perduta contro l’ineguagliabile Spagna all’ultimo Europeo.

Ma non ha minimamente risolto i problemi strutturali del pallone che rotola e, avanti così, andrà fatalmente a rotoli. Un miliardo di euro di debiti accumulati dalla serie A. Controbilanciata, per qualcuno, dalla somma analoga procurata dai diritti televisivi e qui sta il primo guaio. In Italia poco meno dei tre quarti dei denari che entrano nelle casse dei club professionistici arrivano dalle tv a pagamento.

Una pessima notizia, come se ormai il vaso di Pandora fosse colmo e non potesse sperare in altre prebende, nonostante la massima preoccupazione dei presidenti di club sia ingrassare ancora questa voce.

Nella Premier League, in Inghilterra, tanto per fare un esempio, la medesima voce vale quasi tre volte tanto, grazie alla capillare politica di marketing che ha valorizzato al massimo il prodotto calcio, esportandolo in ogni angolo del mondo. E suddividendo la “torta” dei diritti tv al 50% equamente tra tutte le squadre, grandi e piccole. In modo che la forbice restasse ragionevolmente chiusa e in partenza non escludesse nessuno dalla corsa al vertice.

In Italia non si è ancora trovata una formula che accontenti tutti (Bacino di utenza? Risultati sportivi ottenuti?) e la conseguenza è che tra la Juventus e il Pescara i denari della pay-tv corrono squilibratissimi, allargando il solco e deprimendo la competizione.

Altra nota dolente, gli stadi. La legge in materia è infine abortita per via dell’opposizione di chi subodorava – non del tutto a torto – nascondesse una scorciatoia per speculazioni immobiliari. Soltanto la Juventus è proprietaria dell’impianto in cui disputa le partite. Tutte le altre società vagliano progetti per costruire nuovi impianti, funzionali e capaci di produrre reddito, cosa che non avviene a causa delle assurde procedure di accesso imposte dallo Osservatorio sulle manifestazioni sportive e in particolare della cervellotica disciplina della tessera del tifoso, che scoraggia gli spettatori normali e non argina le intemperanze dei teppisti.

La voce incassi da stadio in Italia vale complessivamente meno di un quarto del totale dei ricavi. E ancor meno conta la commercializzazione (merchandising, marketing, diritti di immagine), al contrario di altri campionati (Inghilterra, Germania, Spagna, Francia) che sfruttano al meglio le potenzialità dei club sotto questo profilo. Una seria legge contro la pirateria dei marchi sarebbe auspicabile. Il contrasto a questo fenomeno illegale è sostanzialmente un placebo e le perdite valutabili in centinaia di milioni di euro.

Altro nervo scoperto che segnaliamo ad Abete, la giustizia sportiva. La gestione penosa dell’ultima tornata di calcio-scandali (le scommesse, insomma) hanno mostrato che l’impianto delle regole disciplinari e giudiziarie non funziona più. Si è assistito a verdetti incomprensibilmente sgranati nel tempo, a sentenze troppo leggere rispetto alla gravità delle imputazioni, ovvero difformi nella sostanza rispetto a responsabilità analoghe. Un jungla che va assolutamente diradata.

Vale la pena di ricordare che dal 2014 entrerà in vigore il fair play finanziario voluto dal presidente dell’Uefa, Michel Platini. E che se qualche club italiano di prima fila (Inter e Milan) si è messo risolutamente sulla via del risanamento finanziario, altri continuano a ballare sulla tolda del Titanic che affonda.

E’ vero che spetta anche alla Lega calcio – ossia alla Confindustria dei club – darsi delle regola in materia di diritti televisivi e affini, e possibilmente rispettarle. Ma la Federcalcio, ossia Abete, non ha mai operato in maniera da mettere i club nell’obbligo di decidere. Con un’unica eccezione. Nel 2009, stante l’impasse provocato dalla volontà della serie A di staccarsi dalla serie B, Abete nominò se stesso commissario straordinario.

A seguito della avvenuta secessione, la serie A nominò Maurizio Beretta. Da allora Beretta, che ha un incarico in Unicredit (tra parentesi la banca che detiene una robusta quota di proprietà della As Roma, alla faccia del conflitto di interessi) ha tentato invano di sganciarsi. Preannunciando dimissioni mai accolte. In pratica, Beretta fa il presidente di Lega part time, alla faccia delle proclamate intenzioni dei presidenti di dotarsi di un presidente manager a tempo pieno, capace di massimizzare i ricavi (ma come?) e di dedicarsi equanimemente alla promozione del movimento sportivo nel suo complesso, varando le riforme necessarie.

E qui dalla Federcalcio di Abete scivoliamo sulle responsabilità della Lega calcio, che si trascina tra ripicche e litigi mentre il monte-debiti cresce e l’immagine del calcio nazionale scade sempre più, scivolando in basso. Appesantito dalle distorsioni che abbiamo descritto, sfregiato dalle violenze negli stadi e dagli episodi di razzismo finora sottovalutati in nome del principio, bizzarro, che per risolvere un problema sia sufficiente non discuterne in pubblico, derubricandolo a deprecabile episodio, anziché prendere atto che si tratta di un difetto del sistema. E provare a correggerlo.

A difesa sempiterna di Beretta (ossia a favore della sua riconferma per sei mesi, poi si vedrà) si è schierato un combattivo fronte guidato da Claudio Lotito, presidente della Lazio, rinforzato da altre società (Torino, Genoa, ma anche il Milan), ostili alla candidatura di Andrea Abodi, presidente (dimissionario) della Lega di serie B, homo novus, portatore di idee rivoluzionarie nel lago stagnante del calcio nostrano. E dunque pericoloso per il sistema che diffida dei cambiamenti radicali.

Il fronte pro Abodi, guidato da Juventus, Inter e Roma (con Sampdoria, Catania, Pescara e Siena), si è dovuto arrendere dopo tre votazioni andate a vuoto. Queste società starebbero spingendo per un interregno di sei mesi affidato ad un tecnico, si sono fatti i nomi del dg Brunelli, degli avvocati Stincardini e Sica. Ma difficilmente questa proposta sfonderà.

Di fatto l’elezione del capo della Lega di A è tornata in alto mare. Complicata da altre questioni trasversali. L’ambizioso Lotito punta a diventare vicepresidente vicario della Federcalcio (il numero 2 di Abete, insomma), ruolo ambito anche da Giancarlo Tavecchio, potente presidente della Lega dilettanti e da Demetrio Albertini, in rappresentanza della componente tecnica, ossia i calciatori.

La prima partita si giocherà in seno alla Lega che dovrà nominare un vicepresidente e nove consiglieri, nonché designare due consiglieri federali. A tamburo battente, venerdì 18 infatti Abete convocherà il consiglio federale che dovrà, tra l’altro, procedere alle nomine, compreso il vicepresidente. E se la Lega non esprimerà candidature, resterà a bocca asciutta. Facile prevedere lo slogan che guiderà i lavori della Federcalcio e della Lega di serie A: lotta continua.