Anarchia Roma, la città dove al comando c’è nessuno

di Sergio Carli
Pubblicato il 18 Dicembre 2013 - 18:00 OLTRE 6 MESI FA
Marino al consiglio comunale di Roma (LaPresse)

Marino al consiglio comunale di Roma (LaPresse)

ROMA – In questa malaugurata città chiamata Roma, quando finalmente il sindaco Ignazio Marino riesce a trovare una tregua con i vigili, in guerra da mesi, solo metà (Cgil, Cisl, Uil) dei “pizzardoni” firma l’accordo. L’altra metà (Ugl, Arvu, Ospol) non lo firma. E promette scioperi e agitazioni sotto Natale.

Anche per questo le targhe alterne, sperimentate quattro volte da Marino a dicembre, sono state un fallimento: una media di 1.100-1.200 controlli per 110-140 multe al giorno. In epoca Alemanno, un’epoca tutt’altro che aurea, i controlli erano in media 4.500 e le multe 1.100. Ovvio che molti romani con la targa sbagliata non abbiano rispettato il divieto.

In questa malaugurata città chiamata Roma, la giornata dei Forconi in piazza del Popolo è un punto come un altro nella mappa dei bivacchi: autoproclamatisi “italiani” con tricolori che dormono da dieci giorni in piazzale Ostiense, tende al Circo Massimo (sgomberate in un pomeriggio, per la verità) per l’emergenza casa, precari che minacciano di occupare il Campidoglio, attivisti pro-Stamina accampati davanti a Montecitorio.

Questa malaugurata città chiamata Roma ha evitato il default grazie a 600 milioni che il governo ha stanziato con un apposito decreto, il “Salva Roma”. Ma a patto che venda una parte delle quote di Acea, privatizzi i trasporti, la raccolta dei rifiuti e la pulizia delle strade, licenzi i dipendenti delle società comunali in perdita (come Atac e Ama), metta in liquidazione le aziende che “non erogano servizi pubblici”, accetti vincoli più stretti sul Patto di stabilità e sulle assunzioni e l’acquisto di beni per tutte le società partecipate. È la condizione per ottenere i 600 milioni dal governo dettata da un emendamento di Linda Lanzillotta, che ora è senatrice di Scelta Civica ma che agli albori dell’era Rutelli (1993) era assessore al Bilancio. Una condizione che fa infuriare il Pd romano.

Intanto, in questa malaugurata città chiamata Roma, si litiga in giunta. L’assessore al Bilancio Daniela Morgante, ex corte dei Conti, si scontra da mesi sui finanziamenti extra alla metro C con l’assessore alla Mobilità Guido Improta, ex Alitalia, ex sottosegretario ai Trasporti nel governo Monti. Per il momento vince Improta. Ma solo con la sua collega di giunta. Perché il suo piano traffico, appena presentato, è stato subito bocciato dai minisindaci dei Municipi romani. Prevedeva tra l’altro si pagasse di più il parcheggio sulle strisce blu. Si litiga anche nella maggioranza, ultimo casus belli la nomina di Gianni Borgna al Teatro dell’Opera. Sel, contraria, attacca il Pd.

In questa malaugurata città chiamata Roma, dove aumentano furti, rapine e stupri, e prosperano clan mafiosi, il capo dei vigili propone di postare su Twitter le targhe delle auto in doppia fila, ed è complicato approvare un piano “anti-tavolini”, per arginare l’invasione del suolo pubblico da parte di locali e ristoranti: gli esercenti sono sul piede di guerra. Si media, si fa per dire: si stabilisce e decreta almeno tre metri e mezzo di strada libera, poi i tre metri e mezzo diventano due e settantacinque, sono le misure del bazar della contrattazione urbana. Sì, è difficile anche dire “fatti più in là” a un tavolino.

In questa malaugurata città chi ci vive paga l’addizionale Irpef o Irap più alta d’Italia e non c’è un cassonetto della nettezza urbana senza contorni di sacchetti di rifiuti in strada non raccolti. In compenso c’è una municipalizzata della luce ed acqua ufficialmente riconosciuta come colpevole stampatrice e distributrice di bollette senza fondamento nei reali consumi. E c’è anche il trasporto pubblico urbano più improbabile, singhiozzante e imbarazzante tra le capitali europee. In questa città ci sarebbe un sindaco, pare. ma non è sicuro.