Paolo Villaggio. “Morto? Non capisco la fretta. È presto, ma prima o poi…”

Pubblicato il 21 Giugno 2014 - 15:26 OLTRE 6 MESI FA
Paolo Villaggio. "Morto? Non capisco la fretta. È presto, ma prima o poi..."

L’ultimo falso annuncio su Facebook della morte di Paolo Villaggio

ROMA – Paolo Villaggio scherza sulla propria morte più volte annunciata ma finora solo per bufala. L’ultima volta è stato il 17 giugno.

Raggiunto al telefono da Malcom Pagani, del Fatto, Paolo Villaggio è entrato subito nel gioco:

“Non la sento bene per niente, ma da quale antro comunica? Sta parlando dall’oltretomba? Confessi, sono già morto e non me lo dice per delicatezza?”.

Paolo Villaggio, che compirà 82 anni il 30 dicembre, ha aggiunto:

“Vorrei scegliere io il quando e il come, ma vedo che non ci si può adeguatamente difendere dai maleducati da tastiera e Internet rimane un postaccio. Quindi mi metto l’anima in pace e mi godo il mio funerale”.

Il gioco prosegue:

“Purtroppo sono morto nel modo più stupido. Camminavo per strada e un vaso mi ha colpito in pieno. E il dato tragico è che neanche una settimana fa avevo evitato lo stesso vaso per puro miracolo. Quindi mi ero premunito. Elmetto tedesco d’ordinanza e petto in fuori. Purtroppo neanche i tedeschi sono più quelli di una volta e l’elmetto si è rotto nell’istante meno appropriato. Morire così, senza fortuna, santi in paradiso e con qualcosa di orribilmente tedesco sulla testa. Io sono antinazista, sa? A certi particolari tengo. Avrei desiderato almeno un funerale come si deve e invece, niente”.

Quanto al funerale, Paolo Villaggio mette le mani avanti:

“Mi avevano promesso il Campidoglio. Avrei voluto gli stessi onori di Gassman e Sordi. Non me l’hanno concesso. Allora ho ripiegato sulla Chiesa degli Artisti. Quella di Roma, in Piazza del Popolo. Ma anche lì, passaggio a livello abbassato. Era occupata dall’orazione funebre dedicata a un funambolo turco di religione musulmana. Per entrare in chiesa si è finto cristiano in punto di morte e mi è passato avanti in men che non si dica”.

Così il funerale di Paolo Villaggio, nella sua fantasiosa o forse un po’ propiziatoria anticipazione, è stato celebrato

“in una chiesetta di retroguardia, in periferia. Ma non c’era nessuno. Tutti a vedere la partita dell’Italia. Non sono stato fortunato. Mi hanno bidonato anche quelli che mi avevano assicurato la loro presenza. Non mento. Avevo la lista depositata dal notaio. Poi chi per il traffico, chi per la partita, chi per la moglie e chi per l’amante, si son dati tutti alla fuga. Una delusione. Un dolore. E una vergogna, anche. Ma io ho visto tutto e quando ci incontreremo nuovamente saprò a chi rinfacciare l’assenza”.

Malcom Pagani regge il gioco e chiede: “Ci dica a che indirizzo rispondono gli ingrati. La storia sarà testimone”. Risponde Paolo Villaggio:

“A quello di Benigni, Rutelli e Veltroni. Me l’avevano promesso, Rutelli e Benigni hanno usato una scusa plausibile, Veltroni è proprio scomparso. Forse Walter se l’è presa perché non ho visto il suo film su Berlinguer. Ha saputo? Non parla d’altro. Però il pallone è il pallone e l’Italia è l’Italia. Quasi quasi li perdono. […] Per noi ultraottantenni l’atmosfera funeraria è meglio del Gerovital. Ai funerali ci abbracciamo, ci guardiamo, lasciamo andare via gli amici cari e in silenzio, senza dar troppo nell’occhio, ci chiediamo con rito apotropaico a chi toccherà la volta successiva”.

Questa volta, osserva Malcom Pagani, “volevano proprio toccasse a lei”. Ma Paolo Villaggio reagisce con un ghigno tutto genovese:

“È ancora presto, ma prima o poi accadrà. Solo non capisco tutta questa fretta. Non son mica tanto umani, questi umani, a guardarli da vicino”.