Prodi alla Merkel: “EuroUnionbond garantiti con l’oro degli Stati d’Europa”

di Riccardo Galli
Pubblicato il 23 Agosto 2011 - 13:19 OLTRE 6 MESI FA

ROMA- Eurobond sì, eurobond no. Temonti li propone e il duo Merkel Sarkozy li boccia. Ma già prima di oggi il tema dei bond europei era stato accarezzato in forme diverse e varie a seconda dei tempi e dei proponenti, e qualcosa è stato persino già fatto. Romano Prodi e Alberto Quadrio Curzio, attraverso una lettera inviata al Sole24Ore, tornano ora sulla questione proponendo una loro ricetta. Ricetta che sarebbe utile, oltre a finanziare gli Stati europei, anche a difendere i mercati continentali dalla speculazione: gli EuroUnionBond.

In primis è il caso di fare un excursus sulla storia dei bond europei e distinguere tra le varie tipologie di bond. Infatti, se genericamente si usa la formula di “eurobond”, in realtà esistono diverse tipologie di obbligazioni varabili. Una di queste, gli StabilityBond (Sb), è già realtà, anche se ancora in parte in divenire. Dall’agosto 2010 è operativo lo Efsf (European financial stability facility) dotato di garanzie di capitale fino a 440 miliardi per emettere titoli finalizzati a prestiti condizionati a Stati di Eurolandia in crisi finanziaria. Le quote di capitale del Fondo sono proporzionali a quelle che gli Stati della Uem hanno nella Bce. La Germania ne garantisce perciò circa il 27%, la Francia il 20%, l’Italia quasi il 18 per cento. Ovvero il 65% della Uem. Per ora questo Fondo ha emesso solo 13 miliardi di Sb per prestiti a Portogallo e Irlanda. Successivi ampliamenti di operatività tra cui quelli decisi in luglio hanno aumentato il capitale garantito a 780 miliardi di euro e altri poteri sono stati conferiti allo Efsf. In particolare il Fondo potrà acquistare sul mercato primario e secondario di titoli di Stato dei Paesi della Uem in difficoltà purché in ristrutturazione finanziaria. Gli ampliamenti deliberati sono tuttora soggetti a ratifica degli Stati azionisti. Quindi per ora il Fondo può solo fare prestiti. Dall’1 luglio 2013 lo Efsf sarà sostituito dallo Esm (European stabilization mechanism), con capitale sottoscritto per 700 miliardi di euro, che avrà durata permanente e che dovrà essere recepito dai trattati europei. In conclusione: gli Sb sono un’importante novità anche se la loro operatività è limitata a operazioni difensive di salvataggio, spiegano nella loro lettera Prodi e Quadrio Curzio.

Esistono poi gli UnionBond (Ub). Questi titoli di debito pubblico “europeo” a lungo termine furono proposti dal presidente della Commissione europea Jacques Delors nel Libro bianco Crescita, competitività, occupazione del 1993. Gli Ub dovevano essere garantiti dal bilancio della Comunità europea per finanziare investimenti in grandi infrastrutture transeuropee i cui ricavi sarebbero andati ai promotori dei progetti medesimi (enti del settore pubblico e ditte private) onerati dagli interessi e dal rimborso degli Ub. Questa proposta è stata spesso ripresa e recentemente anche dal Parlamento europeo. Una variante limitata degli Ub sono i “projectbond” (Pb) sostenuti da José Manuel Barroso e dalla Commissione europea nel 2010, per realizzare singole infrastrutture europee con finanziamenti nel partenariato pubblico-privato. I Pb andrebbero emessi da privati ma garantiti dal bilancio comunitario e dalla Bei. Ne esistono già alcuni varati dalla Bei e dal “Fondo Marguerite” operativo del 2008 con “core sponsors” costituiti dalle Casse depositi e prestiti (o forme affini) di Francia, Germania, Italia, Polonia, Spagna e dalla Bei. Si tratta di partecipazioni minoritarie in nuovi progetti di infrastrutture europee per trasporti, energia ed energie rinnovabili.

Ed, infine, gli EuroBond(Eb): titoli di debito pubblico “europeo” presentati come mezzo per ristrutturare i debiti pubblici nazionali degli Stati membri della Uem. Nel dicembre 2010 la proposta è stata fatta sul Financial Times da due ministri dell’economia: Jean-Claude Juncker (presidente dell’eurogruppo) e Giulio Tremonti. Essi partono dalla constatazione che, malgrado le decisioni delle istituzioni della Ue e della Uem, i mercati dei titoli di Stato dei Paesi membri dell’euro rimangono attaccati e attaccabili. Il contrasto dovrebbe venire dagli Eb emessi da una European debt agency (Eda) da sostituire allo European financial stability facility (Efsf). Delors, come altri, ha sottovalutato questo tipo di interventi quasi servissero «solo per colmare i disavanzi del passato».

Prodi e Quadrio Curzio propongono ora una nuova “versione” di bond, battezzata EuroUnionBond (Eub). “La nostra proposta – scrivono – è che bisogna innovare di più con il varo di un Fondo finanziario europeo(Ffe)che emetta Eub con quattro caratteristiche che ricomprendono alcune delle precedenti.
1) Il Ffe dovrebbe avere un capitale conferito dagli Stati Uem in proporzione alle loro quote nel capitale della Bce. Il capitale dovrebbe essere costituito dalle riserve auree del Sistema europeo di banche centrali (Sebc) che sono tra le maggiori al mondo con circa 350 milioni di once per un controvalore intorno ai 450 miliardi di euro. Per mettere l’oro a garanzia vanno modificati gli statuti del Sebc e della Bce (anche con riflessi sui Trattati europei, ma non sul Central banks gold agreement che tratta delle vendite di oro), enti che potrebbero anche diventare azionisti, in quanto conferenti, del Ffe. Supponendo che il capitale versato del Ffe sia di 1.000 miliardi di euro, ogni Stato membro della Uem dovrà conferire oltre all’oro altri capitali anche in forma di obbligazioni e azioni stimate a valori reali e non a prezzi di mercato sviliti. L’Italia dovrebbe conferire 180 miliardi di euro in totale di cui 79 milioni di once in riserve auree, valutabili oggi a circa 101 miliardi di euro, più altri 79 miliardi di euro che a nostro avviso dovrebbero essere azioni di società detenute dal ministero dell’Economia (Eni, Enel, Finmeccanica, Poste ecc). Società che oggi non sono privatizzabili dati i prezzi di mercato. Con questi conferimenti il timore tedesco di pagare i debiti altrui dovrebbe placarsi. La Germania dovrebbe versare al Ffe 270 miliardi di euro di cui 140 miliardi sono 109 milioni di once d’oro e 130 altri valori. La Francia dovrebbe versare 200 miliardi di cui 100 con i 78 milioni di once d’oro e 100 in altri valori. Sarebbe importante che Italia, Germania e Francia conferissero a complemento dell’oro azioni di società settorialmente omogenee nell’energia, nelle telecomunicazioni, nei trasporti.

2) Il Ffe con 1.000 miliardi di euro di capitale versato potrebbe fare una emissione di 3.000 miliardi di Eub con una leva di 3 e durata decennale (e oltre) al tasso del 3% eventualmente variabile dopo un certo periodo. Altre garanzie si potrebbero aggiungere con impegni giuridici degli Stati Uem. L’onere di interessi sarebbe di 90 miliardi di euro all’anno pari oggi a circa l’1% del Pil della Uem pagabile sia con i profitti del conferimento del capitali azionari al Ffe sia con una quota dell’Iva dei Paesi della Uem, sia con gli interessi di cui diremo. Quanto detto è ovviamente adattabile in vari modi su tassi, scadenze, rimborsi degli Eub e magari loro convertibilità in azioni. Ma la sostanza non cambia.
3) Il Ffe dovrebbe dividere in due parti i 3.000 miliardi raccolti con gli Eub.Per far scendere dall’attuale 85% al 60% la media del debito della Uem sul Pil verso il mercato il Ffe dovrebbe rilevare di 2300 miliardi dei titoli di Stato dei Paesi della Uem. L’Italia scenderebbe al 95% del debito su Pil verso il mercato mentre per il restante 25% sarebbe debitrice verso il Ffe. La Francia e la Germania scenderebbero sotto il 60% di debito su Pil verso il mercato. I rimanenti 700 miliardi della citata emissione dovrebbero andare a grandi investimenti europei anche per unificare e far crescere imprese continentali nella energia, nelle telecomunicazioni, nei trasporti delle quali il Ffe diverrebbe azionista.

I vantaggi di questa emissione di Eub sarebbero enormi. Ne citiamo solo due. Il primo è che il Ffe non sarebbe opportunistico ma stabilizzante nella gestione dei titoli di Stato nazionali da detenere su lunghe durate rendendo così molto difficile anche la speculazione. Il secondo vantaggio sarebbe un mercato degli Eub di grandi dimensioni e una raccolta a interessi in media più bassi rispetto ai titoli nazionali di quasi tutti i Paesi Eum. Data anche la natura del Ffe e degli Eub, che hanno garanzie reali, diverrebbe realistico attrarre investitori molto liquidi come i Fondi sovrani che si stima abbiamo oggi assets intorno ai 4.200 miliardi di dollari ovvero circa 3.000 miliardi di euro che nessuna emissione di titoli di Stato della Uem può servire se non in piccola parte. In tal modo gli Eub possono davvero diventare competitivi dei titoli del tesoro Usa dei quali la Cina vuole alleggerirsi. Naturalmente vanno precisate le strutture e la governance societaria del Ffe (che in parte si possono prendere dallo Efsf e dal Esm) tra cui i poteri di voto dei partecipanti al Ffe che pur dipendendo dalle quote nel capitale dovrebbero anche essere rivedibili periodicamente per tenere conto della eccedenza sul 60% del debito pubblico su Pil dei singoli stati. Anche in tal modo si spingerebbero i diversi Paesi a far scendere il loro rapporto di debito su Pil.
In conlcusione: queste innovazioni andrebbero subito messe in progettazione perché, dati i tempi legali della Uem (e della Ue), l’Eurozona sta correndo gravi rischi. Quelli della speculazione, quelli di un rigore di bilancio senza crescita e occupazione, quelli della diarchia franco-tedesca che ha avocato a se il governo della Uem e della Ue ma che non pare all’altezza di un Governo capace dei grandi progetti politico-istituzionali attuati in passato”.

A leggere la proposta fatta sul quotidiano di Confindustria sembra che gli EuroUnionBond siano cosa buona, grandi vantaggi su più fronti: in primis protezione dei mercati comunitari e appetibilità per il gigante cinese che sembra ormai stufo delle obbligazione a stelle e strisce ma hanno, di contro, bisogno di un forte sostentamento finanziario, in oro e azioni, da parte di stati come Germania, Francia ed Italia. Rischia quindi, una proposta che sembra buona, di andare a sbattere contro l’incapacità e, talvolta, la non volontà dei singoli stati di accollarsi un così oneroso investimento, che sarebbe poi però ripagato, per il bene comune. Anche se, proprio in un momento come quello che sta vivendo l’economia e la finanza europea, ci sarebbe bisogno di scelte coraggiose e lungimiranti in grado, se non di cambiare le carte in tavola, almeno di raddrizzare la partita.