Dj Fabo, la Consulta rinvia il giudizio e chiede al Parlamento di intervenire sul suicidio assistito

di Redazione Blitz
Pubblicato il 24 Ottobre 2018 - 18:48 OLTRE 6 MESI FA
Dj Fabo, la Consulta rinvia il giudizio e chiede al Parlamento di intervenire sul suicidio assistito (foto Ansa)

Dj Fabo, la Consulta rinvia il giudizio e chiede al Parlamento di intervenire sul suicidio assistito (foto Ansa)

ROMA – La Corte costituzionale ha chiesto al Parlamento di intervenire sul caso del suicidio assistito, rinviando la decisione al 2019.

La vicenda alla base della questione di cui la Consulta si è occupata è quella di Fabiano Antoniani, noto come dj Fabo, che a causa di un incidente divenne tetraplegico, cieco e non più autosufficiente, e nel febbraio 2017 decise di ricorrere al suicidio assistito. Marco Cappato, esponente dei Radicali e dell’associazione Luca Coscioni, lo accompagnò in una clinica svizzera e poi si autodenunciò.

Legge attuale inadeguata

L’attuale assetto normativo sul fine vita lascia prive di adeguata tutela determinate situazioni costituzionalmente meritevoli di protezione e da bilanciare con altri beni costituzionalmente rilevanti. Per consentire in primo luogo al Parlamento di intervenire con un’appropriata disciplina, la Corte Costituzionale ha deciso di rinviare la trattazione della questione di costituzionalità dell’articolo 580 codice penale, sull’aiuto al suicidio, all’udienza del 24 settembre 2019. Lo rende noto la Corte.

La Corte costituzionale nel rendere nota la decisione presa in camera di consiglio sulla questione relativa all’aiuto al suicidio specifica che la relativa ordinanza sarà depositata a breve. E resta ovviamente sospeso il processo a quo, ossia il procedimento nei confronti di Marco Cappato di fronte alla corte d’assise di Milano, che aveva inviato gli atti alla Consulta. La questione di legittimità sull’art. 580 del codice penale era infatti stata sollevata dalla Corte d’Assise milanese nell’ambito del processo a Cappato, imputato di aiuto al suicidio, per aver accompagnato in una clinica svizzera, dove scelse di morire, dj Fabo.

Marco Cappato, cosa rischia?

“La scelta di congedarsi dalla vita di chi ha un corpo che si è congedato dalla persona, è ancora suicidio?”. La domanda è risuonata per la prima volta nell’aula del palazzo della Consulta. A porla, Federico Manes, uno dei legali che di fronte alla Corte costituzionale ha sostenuto le ragioni di Marco Cappato-

Cappato è imputato di aiuto al suicidio, reato punito, insieme all’istigazione, dall’art. 580 del codice penale con pene da 5 a 12 anni. Ma la Corte d’assise di Milano ha sospeso il processo chiedendo alla Consulta di pronunciarsi sulla legittimità di questa norma e di dare, quindi, una risposta al quesito posto da Manes insieme all’altro legale di Cappato, Filomena Gallo, paladina di molte battaglie sui temi della bioetica.

Un quesito rilanciato anche da Valeria Imbrogno, compagna di dj Fabo, e Mina Welby, moglie di Piergiorgio che decise di fermare i trattamenti che lo tenevano in vita: entrambe presenti all’udienza, chiedono alla Consulta “apertura mentale”. Manes e Gallo hanno tracciato una linea di demarcazione: “Non chiediamo alla Corte – hanno detto – di riconoscere un lugubre diritto a morire, ma il diritto a essere aiutati” in situazioni estreme e “del tutto eccezionali che riguardano malati affetti da patologie irreversibili, con dolore senza speranza, che hanno liberamente e autonomamente manifestato la propria volontà, casi che irragionevolmente ricadono nell’orbita dell’articolo 580”.

Ma anche l’avvocato dello Stato, Gabriella Palmieri, che ha parlato per conto del governo, costituitosi per chiedere che la questione venga rigettata, ha usato argomenti che peseranno sulla decisione finale, sostenendo che i giudici di Milano “avrebbero potuto decidere con un’interpretazione costituzionalmente orientata” della norma penale, perché “ci sono condotte che sono di per sé di carattere solidaristico”.

Il relatore, Franco Modugno, ha più volte annuito in udienza agli interventi dei legali di Cappato, ma questo dice poco: la decisione della Corte è collegiale. Ma tra le ipotesi in campo c’è quella di una soluzione che, in sostanza, salvi la norma come legittima, ma affermi che spetta al giudice valutare caso per caso la condotta di aiuto al suicidio. Un soluzione mediana che lascerebbe soddisfatti anche i legali di Cappato.

Altro è il piano politico. E qui Cappato prende in contropiede l’esecutivo: “Avevo capito che tra gli obiettivi di questo governo ci fosse la rapida trattazione delle leggi di iniziativa popolare: la nostra legge per l’eutanasia legale attende da cinque anni – ha dichiarato – Se un Presidente del consiglio interviene in giudizio contro di me invocando l’inammissibilità e infondatezza della questione e rimandando all’intervento del legislatore, questa è un’assunzione di responsabilità politica”.