Tiro a segno “italiano” su Garibaldi. E Nizza e Savoia celebrano lo scampato pericolo di essere italiane

Pubblicato il 20 Aprile 2010 - 17:18 OLTRE 6 MESI FA

L’unità nazionale in questo Paese non è più di moda, tranne che forse ai Mondiali di calcio. Tra pochi giorni, il 5 maggio, si celebrerà il centocinquantenario della spedizione dei Mille che portò all’Unità d’Italia. Il padre di  tanta ricorrenza, Garibaldi, giace quasi dimenticato, se non infamato nelle parole di chi oggi siede in Parlamento. Prova ne è lo stato dei lavori delle manifestazioni che dovrebbero corredare l’anniversario: ferme o paralizzate in buona parte delle città italiane. Pur programmate da tempo, sono state organizzate solo all’ultimo minuto con la consueta delega della Protezione Civile, firmata dall’instancabile “tuttofare” Guido Bertolaso. Come se una data, ormai fissata sul calendario da decenni, avesse colto di sorpresa gli organizzatori.

Dal famoso scoglio di Quarto, sulla costa levante del centro di Genova, proprio dirimpetto al golfo, partirono i Mille garibaldini alla volta della Sicilia centocinquantanni fa. Tra una manciata di giorni il Capo dello Stato, Napolitano, varerà simbolicamente proprio da qui, dal monumento ai Mille, l’avvio alle celebrazioni dell’Unità d’Italia. Ma davanti allo scoglio tutto tace. Il monumento ai garibaldini giace ancora “infagottato” in una gabbia di tubi, reti metalliche e teloni verdi. I lavori di restauro dovevano partire molto prima, ma gli operai della ditta Morigi di Bologna, che lavorano a ritmi forsennati per arrivare in tempo alla data, sono stati chiamati all’ultimo istante. E si sono messi al lavoro senza nemmeno aver definito la questione contrattuale nei dettagli. Forza e buona volontà della gens italica.

Annalaura Spalla, l’architetto che segue per conto del comitato per le celebrazioni i lavori si giustifica: «Non si trattava di restaurare solo il gruppo bronzeo ma di sistemare l’intera aerea adiacente». Ma quei mille ragazzi, arrivati il 5 maggio del 1860 da tutte le parti d’Italia per imbarcarsi alla volta della Sicilia, non vedranno nemmeno il loro nome inciso alla base del monumento. Forse ce la faranno gli operai a scolpirlo all’ultimo. Forse no. Di certo, non prima di agosto. Del resto mese più mese meno che importa? Sono solo un centinaio d’anni che i ragazzi che diedero la vita per la patria aspettano questo momento. Precisamente da quando fu commissionato, nel 1907, perchè fosse pronto per il Cinquantenario del 1910. Anche per quella ricorrenza si era programmata una celebrazione con tutte le fanfare. Il monumento doveva perfino essere in marmo di Carrara, una spesa pazzesca per l’epoca. Poi la scelta di rimandare la realizzazione di altri 50 anni, e la statua declassata in bronzo e senza nomi: giusto in tempo per un nuovo anniversario. All’inaugurazione non si presentarono nè il re Vittorio Emanuele II nè il capo del governo, Antonio Salandra. Ma la storia, si sa, è ciclica.

Perfino all’estero è arrivata l’eco di questa storia tutta italiana. Lì dove Garibaldi è riconosciuto come “eroe dei due mondi”, innovatore, rivoluzionario, un “Che Guevara ottocentesco”. Personaggio storico italiano che segue per fama solo Cristoforo Colombo che il nuovo mondo l’ha scoperto. Un giornale austriaco, Der Standard, ha pubblicato diversi articoli sulla sonnolenza dell’Italia e sui preparativi svogliati di celebrarne l’Unità. Come a dire: ma le guerre d’indipendenza che le avete combattute a fare? Giusto, se pensiamo a cosa è uscito dalla bocca di alti rappresentanti istituzionali italiani negli ultimi tempi. Una volta si diceva, per indicare una accettata impossibilità, che fai, parli male di Garibaldi? Adesso parlar male di Garibaldi è una accettata e diffusa abitudine “nazionale”. Bettino Craxi aveva sul suo tavolo il busto di Garibaldi, ora il governo che riabilita e omaggia Craxi, il busto di Garibaldi lo colloca nel pattume.

Da Luca Zaia, neo governatore del Veneto, secondo cui la nascita dello Stato italiano era un “atto contro natura”, un “relitto storico da rifondare con il federalismo”. A Roberto Cota, eletto governatore in Piemonte, che ha bollato l’eroe dei due mondi come “un criminale che seminava morte e distruzione”. Per il ministro Calderoli certe ricorrenze risorgimentali sono addirittura un “lutto”: l’azione di Garibaldi e dei Savoia avrebbe fatto il male della Padania e del Mezzogiorno intero. Sulla stessa linea Antonio Ciano, fondatore del Partito del Sud che incalza: “Garibaldi: eroe o cialtrone?”. “La più grande rapina della storia”.

Ma guardiamo altrove. Su e giù per la penisola, in tutte le città, ci sono preparativi per celebrare la partenza dei Mille. Un progetto ambizioso del Comitato dei Garanti per le celebrazioni, capitanato dall’ex presidente della Repubblica, Carlo Azeglio Ciampi, prevedeva il restauro di quasi tutti i monumenti. Opera faraonica: le statue che ritraggono Garibaldi sono oltre 420. E così si è ripiegato su una soluzione più veloce e conveniente: estirpare le erbacce e ripulire le sculture, o almeno il volto del condottiero, dai chili di escrementi dei piccioni che vi soggiornano sopra. Nella più totale incuria e dimenticanza.

Del resto da Nord a Sud l’Unità non va di moda appunto. Sono i regionalismi, i provincialismi e i campanilismi a farla da padrone. Non a caso la Lega ha “stracciato” tutti alle passate elezioni regionali. E il localismo è entrato in ogni casa: la classe dirigente invece di guidare il Paese spinge gli italiani a “guardare ognuno al proprio orticello”. Quello che accade fuori non è affar nostro. L’idea di base è questa.

Per assurdo, se l’Italia a stento ricorda l’Unità nazionale, ci pensa la Francia a colmare il vuoto: il 1860 viene ricordato con mostre e manifestazioni aldilà delle Alpi. Un risorgimento al contrario. A Nizza, città natale dell’eroe garibaldino, e nella Savoia si celebrano i plebisciti che quell’aprile di tanto tempo fa portarono all’annessione alla Francia. Dunque allo scampato pericolo.