Iran-Usa uccidono, ma non è guerra. Khamenei e Trump non varcano linea rossa, finora

di Lucio Fero
Pubblicato il 8 Gennaio 2020 - 09:52 OLTRE 6 MESI FA
Iran-Usa uccidono, ma non è guerra. Khamenei e Trump non varcano linea rossa, finora.

I missili lanciati dall’Iran sulle basi Usa in Iraq (Foto Ansa)

ROMA – Iran-Usa, finora non è guerra. L’omicidio, l’azzardo americano dell’omicidio del capo militare della Repubblica islamica. E poi il doppio attacco missilistico iraniano sulle basi militari in Iraq dove sono i soldati americani. Si uccide, si spara, si cerca l’uno il sangue dell’altro. Ma finora non è guerra. Khamenei e Trump infatti si tengono dentro i confini di un qualcosa che è tutt’altro che pace ma, finora, non è guerra.

Dentro i confini dell’Iraq. La rappresaglia iraniana ha colpito in Iraq. Sullo stesso terreno e nello stesso campo di scontro dove è stato ucciso il suo generale. L’Iran non ha colpito una nave americana ad esempio e neanche una ambasciata Usa, tanto meno il territorio americano. E’ una scelta precisa, militare e strategica ma soprattutto politica, che contiene e limita la portata dello scontro.

Vero è che Teheran ha annunciato il lancio di missili nella notte e poi all’alba sia solo “l’inizio”. L’inizio di cosa? L’ipotesi più probabile è quella di un sanguinoso e prolungato attrito con i militari americani in Iraq e solo lì. Da Teheran è venuta la formula “in Iraq americani conosceranno nuovo Vietnam”. Propaganda ma non solo. Propaganda ma anche programma a suo modo perseguibile. Difficilmente gli Usa reggerebbero a nuove massicce perdite umane in Iraq, già ora Trump rinforza il contingente in Iraq dopo aver annunciato a tutti gli americani, e soprattutto ai suoi elettori, che “America non vuole più combattere guerre degli altri” e non vuole spenderci più uomini e dollari. Il presidente che riporta a casa i ragazzi e i soldi è in netta e alla lunga insostenibile contraddizione con il Comandante in capo che ordina e guida l’operazione stay Iraq.

Quindi, finora, quella che si annuncia è una guerra di attrito in Iraq. Sembra confermare questa ipotesi anche la prima reazione di Trump ai missili iraniani. Non è stata: bombardiamo le basi da cui i missili sono partiti, basi che sono in Iran. La prima reazione è stata molto molto pacata in assoluto e addirittura sorprendente se parametrata alle ultime minacce di Trump all’Iran, quel “saremo sproporzionati nella risposta”.

Lo stesso lancio di missili su basi dove sono militari americani non è mossa militare e scelta politica che cerchino di massimizzare le vittime e costringere Trump a strafare nella risposta, infatti nelle basi allertate ci si può nella gran parte dei casi riparare dal bombardamento.

Confini territoriali: combattersi e certo uccidersi, ma dentro l’Iraq e finora solo lì. Confini nell’entità militare dell’attacco e, finora, nella reazione che Trump lascia intravedere. Confini che Trump, sia pure nella sua imprevedibilità, sembra essersi dato. Confini che Khamenei, suprema guida iraniana, sembra aver metabolizzato e dentro i quali finora sta. Un solo limite a questo stato delle cose, a questo uccidersi e sparare in una non guerra: il finora.