Ostruzionismo cinese blocca risoluzione Onu contro diritti umani violati in Cina

di Marzia Boscarino
Pubblicato il 20 Marzo 2014 - 15:11| Aggiornato il 21 Marzo 2014 OLTRE 6 MESI FA

GINEVRA – L’ostruzionismo dei cinesi ha impedito che l’Onu adotti una risoluzione sulla violazione dei diritti umani in Cina. Al Consiglio per i diritti umani delle Nazioni Unite (Unhrc, United Nations Human Rights Council), tenutosi ieri (mercoledì 19 marzo) a Ginevra, i delegati cinesi hanno impedito l’adozione della relazione sullo stato dei diritti umani in Cina, facendo uso di tattiche dilatorie e ostruzionistiche.

L’Unhrc è un organo sussidiario dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite, composto di 47 membri, fra i quali anche Paesi come la Cina, l’Arabia Saudita, la Russia e Cuba, che violano sistematicamente i diritti umani al proprio interno. Paesi che, lo scorso novembre, hanno tuttavia ottenuto un seggio ciascuno all’Unhrc, tra perplessità e sconcerto del mondo occidentale.

In particolare, gli Stati Uniti accusano l’Unhrc di porre eccessivamente l’accento sulla violazione dei diritti umani in Israele e di omettere invece la trattazione della questione delle violazioni dei diritti umani in Cina. È evidente che, da un punto di vista geopolitico, mettersi contro la Cina non è come mettersi contro Israele. Così, in sede Onu, si è sempre cercato di evitare un confronto diretto con i delegati del governo cinese riguardo alle pur gravi e sistematiche violazione dei diritti umani in Cina.

Quindi era una novità, alla riunione dell’Unhrc del 19 marzo, la contemporanea presenza dei delegati del governo di Pechino e di alcune organizzazioni non governative a difesa dei diritti umani, tra le quali la UN Watch e il suo direttore esecutivo Hillel Neuer.

Renee Xia, direttore internazionale dei Difensori cinesi dei diritti umani (un gruppo della società civile cinese) racconta al New York Times della riunione dell’Unhrc, nel corso della quale una Ong ha chiesto, invano, un minuto di silenzio in ricordo di Cao Shunli (53 anni), attivista in prima linea per la difesa dei diritti umani in Cina, morta 6 giorni fa a Beijing mentre si trovava in carcere e dopo che le erano state negate le cure per tubercolosi.

Cina all'Onu, ostruzionismo: no a risoluzioni sui diritti umani in Cina01

Cao Shunli (foto Ap)

Cao era in carcere per aver preso parte, lo scorso giugno, a un sit-in di proteste durato due mesi davanti al Ministero degli Esteri cinese, per chiedere di poter partecipare al Consiglio dei diritti umani dell’ONU.

“Il Partito Comunista è pienamente responsabile della sua morte”, ha scritto su Twitter un dissidente che si trova a Pechino, Hu Jia.

Il ministro degli esteri cinese si è limitato a dire che Cao ha ricevuto tutte le cure necessarie e che i suoi diritti sono stati rispettati.

D’altra parte, Stati Uniti e Unione Europea si sono limitati a esprimere il proprio sconcerto per la morte di Cao.

Di fronte alle proteste per la morte di Cao giunte anche a Ginevra, i delegati cinesi non solo si sono opposti alla richiesta del minuto di silenzio per Cao, sostenendo che essa non è proponibile in sede Unhrc, ma hanno anche protratto la discussione sulla questione del minuto di silenzio, tanto da far slittare l’adozione della relazione sui diritti umani in Cina al giorno successivo (oggi, giovedì 20 marzo).

Cina all'Onu, ostruzionismo: no a risoluzioni sui diritti umani in Cina02

Ti-Anna Wang e il direttore esecutivo della ONG UN Watch Hillel Neuer, UNHRC, Ginevra, 18 marzo 2014


Un coro di proteste si è levato tra gli esponenti della società civile cinese presenti ieri a Ginevra, i quali hanno chiesto delle spiegazioni dal Ministero per gli Affari esteri cinese sul “no” del governo alla richiesta di un minuto di silenzio per Cao. Ministero che si è limitato a concedere l’invio di domande via fax, alle quali peraltro non ha finora risposto.

Gli attivisti dei diritti umani in Cina, considerati dissidenti politici dalle autorità governative cinesi, avvertono che oggi si assisterà a “una resa dei conti” sulla questione della violazione dei diritti umani in Cina.

Alle tattiche dilatorie (prolungare i tempi della discussione così da far mancare il tempo per l’adozione della risoluzione “scomoda”), si sono aggiunte anche tattiche ostruzionistiche, dal momento che i delegati cinesi hanno cercato di impedire alla ventiseienne Ti-Anna Wang di proseguire la sua testimonianza sulla triste vicenda di suo padre, Wang Bingzhang, promotore della democrazia in Cina che sta scontando una condanna all’ergastolo per la sua attività politica.

Alla fine, Ti-Anna Wang è riuscita a completare la sua testimonianza a Ginevra, ma i delegati cinesi hanno ottenuto per la seconda volta il risultato sperato: dilatare i tempi della discussione e impedire l’adozione della relazione finale sui diritti umani.

Nel 2012, il governo cinese aveva dichiarato con un documento ufficiale di considerare le informazioni di Amnesty International e delle altre organizzazioni a difesa dei diritti umani come informazioni da non far trapelare perché coperte dal “segreto di Stato”. Ecco qui riportato il documento del 2012:

Cina all'Onu, ostruzionismo: no a risoluzioni sui diritti umani in Cina03

Cina, 2012: informazioni di ONG sui diritti umani in Cina definite “segreti di Stato”

Attivisti politici in Cina sostengono che le resistenze dell Cina a Ginevra sono sintomi del malcelato timore del governo cinese che una relazione eventualmente severa  sullo stato dei diritti umani in Cina possa smascherarlo, mostrandone al mondo intero il volto autoritario e oppressore nei confronti dei dissidenti politici e dell’intera popolazione cinese.

Nella Repubblica Popolare cinese 68 sono i crimini punibili con la pena di morte e ogni anno vengono eseguite almeno 6000 condanne a morte, secondo quanto riferito nel 2007 da Amnesty International. Per non parlare del trattamento riservato ai prigionieri ancora in vita (molti dei quali politici), sottoposti a schiavismo, tortura e lavaggio del cervello. Nessun diritto umano è loro riservato, per esempio in caso di bisogno di cure per gravi malattie, come nel caso di Cao, lasciata morire in carcere di tubercolosi.