“Faziosa e furbetta: l’Italia vista da Feltri”, Cremonesi sul Corriere

di Redazione Blitz
Pubblicato il 31 Ottobre 2013 - 09:52 OLTRE 6 MESI FA
libro feltri

Il nuovo libro di Vittorio Feltri

ROMA – “Faziosa e furbetta: l’Italia vista da Feltri «Berlusconi? Mi era antipatico».” Questo il titolo dell’articolo di Marco Cremonesi sul Corriere della Sera del 31 ottobre dove si parla del libro di Vittorio Feltri e Gennaro Sangiuliano, “Una Repubblica senza patria“, dedicato agli ultimi 70 anni di storia nazionale.

L’Italia che non vorremmo. E l’Italia che siamo. Quella che si è costruita negli ultimi settant’anni e di cui c’è poco di cui essere orgogliosi, almeno a leggere Vittorio Feltri e Gennaro Sangiuliano. Perché il tratto fondamentale del Paese è l’estremismo fazioso che qui da noi non si avvicina mai a riscattare, nemmeno con gli occhi cinici della Realpolitik, le ragioni nobili dell’idea da cui nasce. È arrivato nelle librerie Una Repubblica senza patria – Storie d’Italia dal 1943 ad oggi (Mondadori) in cui i due giornalisti rileggono gli ultimi decenni di storia nazionale. Una rilettura, come è lecito aspettarsi, tutta da destra. Eppure, nessuno può trarre consolazione dall’affresco dipinto dai due direttori. Perché lo sfondo, il sentimento da cui muove è quello di una montanelliana sfiducia nella possibilità di emendare gli italiani e i loro vizi.

Il libro è diviso in due parti nettamente separate. La prima è affidata a Sangiuliano e ripercorre i decenni fino al 1960. Il vicedirettore del Tg1 è forse più amaro di Feltri, i ritratti che dipinge sono desolanti. Anche quando non prende di mira le doppiezze di Togliatti, «il compagno Ercoli», ben ritratto nel suo rientro in Italia, a Napoli, dopo l’esilio moscovita. Ma il problema non sono i comunisti: sono gli italiani. All’inizio del settembre del 1943 due agenti segreti americani arrivano nel Belpaese per concordare un aviosbarco Usa che aiuti i militari fedeli ai Savoia a difendere la Capitale: «Si aspettano di trovare interlocutori adeguati, con le idee chiare. La situazione è, invece, ai limiti del ridicolo. Il comandante della difesa di Roma, il generale Carboni, è a una festa; Badoglio dorme e ha dato ordine di non essere svegliato; il generale Ambrosio è a Torino per un trasloco; Roatta è a cena. I due ufficiali alleati vengono intrattenuti da un colonnello che non conosce una parola d’inglese e li tratta da turisti. Il meglio che gli riesce di fare è condurli in un lussuoso ristorante».

La chiave è questa, ben ricesellata nel racconto del generale Giuseppe Castellano che firma la resa italiana agli americani con il futuro direttore della Cia, Walter Bedell Smith: «La sequenza fotografica che ritrae quella firma suscita ancora oggi imbarazzo e vergogna — scrive Sangiuliano —. Castellano si presenta in abiti borghesi, indossa un elegante blazer, con il fazzoletto nel taschino, come si va al circolo per l’aperitivo serale, l’aria è di chi sta vendendo un pezzo di terra dal notaio. Il sua abbigliamento suscita ilarità e una certa pena negli angloamericani».

L’inizio del libro è tutto dedicato a Togliatti, al suo «tradimento» di Gramsci che arriva alla riscrittura — mai pienamente individuata e rimossa — dei Quaderni dal carcere . La parte di Feltri è programmaticamente diversa, il racconto in prima persona di un testimone del suo tempo: «L’Italia che ho visto». Qui, è tutto concentrato sullo sguardo del direttore. La strategia della tensione continua a essere qualcosa in cui «tutto sommato siamo rimasti ai sospetti». Così come le varie piste nere per le stragi restano qualcosa di credibile fino a un certo punto: il contrasto è tra le organizzatissime formazione comuniste che godono anche di «tacita simpatia collettiva» e i gruppi neofascisti, «magari non innocenti» ma in grado di centrare soltanto «obiettivi più modesti». (…)