Marco Travaglio sul Fatto Quotidiano: “Prima la sentenza, poi il processo”

di Redazione Blitz
Pubblicato il 30 Maggio 2014 - 08:28 OLTRE 6 MESI FA
La prima pagina del Fatto Quotidiano

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ROMA – “Tomo tomo, cacchio cacchio, il vicepresidente del Csm Michele Vietti – scrive Marco Travaglio sul Fatto Quotidiano – rilascia una lunga intervista alla Stampa. Dopo un’ora di colloquio col presidente della Repubblica e del Csm Giorgio Napolitano, anche sul “caso Milano”: cioè sul dissidio esploso fra il procuratore Edmondo Bruti Liberati, l’aggiunto Alfredo Robledo e i rispettivi sostenitori”.

L’articolo completo:

Una guerra che, fortunatamente, non riguarda magistrati corrotti o collusi, né indagini insabbiate o inventate, dunque non avrà conseguenze su processi in corso: riguarda quale pool, capeggiato da quale aggiunto, doveva seguire questo o quell’indagine; e quando Tizio o Caio dovevano essere iscritti nel registro degl’indagati. Le assegnazioni dei fascicoli devono seguire rigidi criteri di competenza per materia (reati contro la PA, delitti economici, CO-criminalità organizzata, reati ambientali…). I tempi delle iscrizioni sono più discrezionali, nel senso che ciascun pm valuta quando gli indizi su un sospettato costituiscono “notizia di reato” a suo carico. Tre fatti sembrano emergere con chiarezza.

1) Il fascicolo su Expo, non emergendo fatti o uomini di mafia, era di competenza del pool “PA” guidato da Robledo, invece Bruti l’assegnò a quello sulla “CO” capeggiato dalla Boccassini. 2) Bruti ha accusato Robledo davanti al Csm di aver disposto i pedinamenti di indagati per Expo già pedinati da altri colleghi, ma il doppio pedinamento è stato smentito dalla Guardia di finanza, dunque pare non aver detto la verità. 3) Bruti è un magistrato colto e onesto, ma non si è rivelato un buon capo, non avendo saputo gestire i contrasti fra i suoi aggiunti, anzi sembra averli inaspriti. Nel 1991, appena emersero analoghi dissidi fra la Boccassini e Armando Spataro sulla gestione di un caso di mafia e politica, un capo vero come Francesco Saverio Borrelli li risolse subito inviando al Csm un rapporto che imputava alla collega “una mancanza di controllo nervoso, una carica incontenibile di soggettivismo, una mancanza di volontà di porre in comune risultati, riflessioni, intenzioni”. La Boccassini di lì a poco emigrò a Caltanissetta. Nulla di ciò ha fatto Bruti, lasciando incancrenire un conflitto che sarebbe rimasto clandestino senza l’esposto di Robledo. In ogni caso le due apposite commissioni del Csm stanno esaminando gli esposti dei due contendenti e le audizioni degli altri aggiunti, che via via hanno ricostruito i fatti dando ragione all’uno o all’altro. Ora sia Bruti sia Robledo hanno il sacrosanto diritto di ottenere un verdetto maturato nella massima serenità, senza interferenze politiche. Invece Vietti incontra Napolitano, poi dichiara alla Stampa di non poter “anticipare le conclusioni delle due commissioni né del plenum”. Ma subito dopo anticipa le conclusioni delle due commissioni e del plenum. La classica sentenza prima del processo: ha ragione Bruti e torto Robledo. E questo perché – spiega l’ex viceministro Udc di due governi B. – per legge “la titolarità dell’azione penale è del procuratore capo”. Vero, ma la legge non dà al capo il potere di fare ciò che gli pare: anche lui deve rispettare delle regole, almeno quelle che si è dato il suo ufficio sull’assegnazione dei fascicoli a seconda delle materie, non delle sue personali simpatie o antipatie. Viettipoi, anzichéfelicitarsiperchéicontrastisono emersi nella loro sede naturale, e cioè il Csm da lui vicepresieduto, trova “negativo far passare l’idea che i processi venissero assegnati senza regole”: molto meglio che il bubbone restasse nascosto, ma purtroppo “l’esposto dell’aggiunto ha innescato una spirale che non poteva essere più fermata”. I panni sporchi si lavano in famiglia. E chi non lo fa rischia “il trasferimento d’ufficio per incompatibilità”. A chi toccherà? A Bruti, a Robledo, a tutti e due? Comunque vada, il giudizio sarà inficiato dall’invasione di campo di Vietti che ha tutta l’aria di un intervento politico normalizzatore. Il numero 2 dell’ex organo di autogoverno dei magistrati, dopo un colloquio col numero 1, non parla solo a Milano: fra poco il Csm nominerà il nuovo procuratore capo di Palermo, al posto di quel Messineo che ha il grave torto di non aver fermato per tempo l’inchiesta sulla Trattativa. Chi ha orecchi per intendere intenda.