Scalfari, deluso da Monti, scopre la agenda Bersani

Pubblicato il 30 Dicembre 2012 - 12:22 OLTRE 6 MESI FA
Scalfari, deluso da Monti, scopre la agenda Bersani

Eugenio Scalfari, nel suo editoriale di domenica 30 dicembre, su Repubblica, dà atto ai suoi lettori della cocente delusione che gli ha causato il suo “amico” (così lo aveva definito la domenica precedente) Mario Monti. Lo fa con eleganza e misura e anche se non ha il coraggio di spingere il suo ragionamento fino in fondo, dà prova di grande onestà intellettuale nello scrivere quello che ha scritto.

Ma alla fine fa capire che il suo cuore batte ora più per Pierluigi Bersani e meno per Monti.

Il titolo è una accorata esortazione a non “rifare la Dc”, ma l’articolo gronda lacrime di sangue, a cominciare dallo sconcerto dell’attacco, scritto quasi a bocca aperta, con un sottinteso “Oh” di smarrimento: “È cambiato in appena una settimana”.

Ricorda Scalfari che domenica 23, nella sua conferenza stampa, Mario Monti

aveva parlato da uomo di Stato, tracciando le linee maestre d’un programma (o agenda che dir si voglia) per completare l’uscita dall’emergenza e proiettare il Paese verso il futuro dell’Italia e dell’Europa. Aveva ripetuto un punto di fondo che già conoscevo e avevo scritto riferendo una conversazione avuta con lui il giorno prima: «Dobbiamo riformare la pubblica amministrazione per adeguarla alla società globale e dobbiamo costruire lo Stato federale europeo. Si tratta di compiti estremamente impegnativi, pieni di futuro e di speranze e per condurli a termine è necessaria una grande alleanza di forze sociali e politiche che accettino questo programma».

Seguiva, ricorda Scalfari, la “agenda delle cose concrete da fare”, i cui capitoli sono in queste parole chiave:  corruzione, liberalizzazioni,  falso in bilancio, conflitto d’interesse. Seguiva l’elenco degli impegni europei da mantenere: rigore dei conti pubblici, crescita economica,  lavoro, equità, taglio delle spese correnti, meno imposte su lavoro e imprese, produttività, competitività, abolizione delle Province, ruolo delle donne.

Monti in effetti aveva parlato come Augusto imperatore redivivo e, preoccupato del tasso demografico autoctono e nel profondo del cuore varesotto non proprio friendly con gli extracomunitari, aveva anche esortato gli italiani a

“fate più bambini”,

come ricorda Scalfari.

Alla fine di tutto questo elenco, Monti, ricorda sempre Scalfari, aveva annunciato di volere attendere

“per vedere quali forze sociali e politiche avessero fatto propria la sua agenda.Se gli avessero chiesto di dare il suo contributo alla realizzazione di quel programma, era pronto ad assumerne la responsabilità.”

Insomma, si trattava di

“un bellissimo discorso, di chi opera nel presente guardando al futuro, all’insegna di uno slogan che era molto più di uno spot: il cambiamento contro la conservazione”.

Ma, appena due giorni dopo, l’amara sorpresa, probabilmente nel cuore di Scalfari il patatrac:

“Due giorni dopo aveva già iniziato colloqui riservati con l’associazione di Montezemolo e con i centristi di Casini

e gli ex fascisti ora diventati centristi anche loro

“di Fini, avendo come consiglieri i suoi ministri Riccardi e Passera; poi aveva incontrato il giuslavorista Ichino in rapido transito dal Pd alla montiana coalizione centrista; i dissidenti del Pdl guidati da Mauro […], mentre fioccavano gli “endorsement” da quasi tutte le cancellerie europee e americane ed uno, decisivo da ogni punto di vista, del Vaticano, proveniente dai cardinali Bertone e Bagnasco e dall’“Osservatore Romano”. La Chiesa, o almeno la sua gerarchia, lo vorrebbe alla guida dell’Italia per i prossimi cinque anni. Quindi centrismo e una spolverata cattolica. Era salito in politica domenica ma già da martedì stava scendendo per mettersi alla testa di una parte”.

Altro che “panchina dove, secondo l’opinione del Capo dello Stato, avrebbe dovuto restare fino a dopo le elezioni, pronto a dare soltanto allora, a chi glielo chiedesse avendone acquisito il titolo elettorale, il contributo della sua competenza e della sua autorevolezza”.

Seguono amare annotazioni:

Restano naturalmente da definire ancora parecchie questioni: «Per l’agenda Monti» oppure «Per Monti» o addirittura «Monti presidente »? Con il fronte berlusconiano la rottura politica è stata completa e definitiva. Questo è un fatto certamente positivo. Bersani è definito invece affidabile ma la Camusso e Vendola sono considerati più o meno bolscevichi. Benissimo il Vaticano purché senza ingerenze. Ovviamente. Del resto il Vaticano non ne ha mai fatte, neppure ai tempi di Fanfani, di Moro, di Andreotti. Ha sempre e soltanto suggerito su questioni concrete e specifiche. La prassi è sempre stata la buona accoglienza del suggerimento.

E la conclusione:

Da venerdì scorso comunque Mario Monti è a capo della coalizione centrista. La panchina è vuota, perfino i palazzi del governo sono semivuoti, eppure nei 60 giorni che mancano alle elezioni ce ne sarebbero di cose da fare, di provvedimenti già approvati ma privi di regolamentazione, di pratiche da portare avanti, per quanto mi risulta in ufficio c’è rimasto soltanto Fabrizio Barca, ministro della Coesione territoriale. Lui ha idee di sinistra, quella buona per capirci, non quella di Ingroia dove si parla solo della rivoluzione guidata dalle Procure.

Intanto “il commissario Bondi ha smesso di occuparsi di “spending review” per il nuovo compito sulla formazione delle liste. Lo fa nel tempo libero o in quello d’ufficio? Ecco una domanda alla quale si vorrebbe una risposta.

A questo punto Scalfari volta pagina e dà conto della scoperta, o riscoperta della agenda Bersani:

Sì, c’è anche un’agenda Bersani che senza strepito è da tempo disponibile a chi vuole conoscere i programmi dei partiti. Ce ne sono pochi in giro di partiti che non siano proprietà d’una sola persona. Anzi non ce ne è nessuno tranne il Pd. Dispiace, ma questa è la pura realtà. L’agenda Bersani dice questo: 1. Mantenere gli impegni presi con l’Europa. 2. Tagliare la spesa corrente negli sprechi. 3. Destinare il denaro recuperato per diminuire il cuneo fiscale e le imposte sui lavoratori e sulle imprese. 4. Aumentare la lotta all’evasione e la tracciabilitànecessaria. 5 Completare la legge sulla corruzione. 6. Ripristinare il falso in bilancio. 7. Varare una legge sui conflitti di interesse e sulla ineleggibilità. 8. Equità, occupazione, sviluppo. 9. Scuola e alla ricerca, come proposto dal bolscevico Nichi Vendola e già realizzato in Francia da Hollande (che però bolscevico non è). 10. Cambiare il welfare in un welfare moderno e comprensivo di salario sociale minimo per i disoccupati. 11. Tagliare drasticamente i costi della politica, le Province, la burocrazia delle Regioni. 12. Diminuire il numero dei parlamentari come si doveva fare in questa legislatura e non si fece per l’opposizionedel Pdl. 13. Rifare la legge elettorale basandola su collegi uninominali a doppio turno.

Tra l’agenda Bersani e quella Monti non vedo grandi differenze, anzi non ne vedo quasi nessuna salvo forse alcune diverse priorità e un diverso approccio alla ridistribuzione del reddito e alle regole d’ingresso e di permanenza nel lavoro dei precari. E salvo che l’agenda Bersani è stata formulata prima di quella Monti e in alcune parti avrebbe potuto utilizzarla anche l’attuale governo se avesse posto la fiducia su quei provvedimenti. Conclusione: non esiste né un’agenda Bersani né un’agenda Monti. Esiste un’agenda Italia che dovrebbe essere valida per tutte le forze responsabili e democratiche.