Passaporti di immunità? Nature: “Causano più problemi di quanti ne risolvano”

ROMA – Non è una buona idea il passaporto di immunità. Lo confermano due bioeticisti in un articolo pubblicato su Nature Comment. 

L’ipotesi di rilasciare certificati a chi ha avuto il Covid-19 in quanto presumibilmente immune alla malattia, causerebbe più problemi di quanti in realtà ne risolva.

Secondo Natalie Kofler e Françoise Baylis della Harvars Medical School, “qualsiasi documentazione che limiti le libertà individuali sulla base della biologia rischia di diventare una piattaforma per limitare i diritti umani, aumentare la discriminazione e minacciare piuttosto che proteggere la salute pubblica”.

In primo luogo, spiegano, tali schemi non funzioneranno. Gli scienziati non sanno ancora come o se l’infezione con il virus Sars-CoV-2 conferisce immunità o quanto dura.

I test sierologici che misurano gli anticorpi Sars-CoV-2 nel sangue sono ritenuti inaffidabili – molti danno falsi positivi o falsi negativi.

Inoltre, il livello dei test necessari per certificare le persone come libere di lavorare potrebbe non raggiungere mai più di qualche percento della popolazione, una percentuale troppo bassa per rilanciare l’economia.

Peggio ancora, i passaporti dell’immunità potrebbero estendere nuove forme di discriminazione ai tratti biologici, scrivono Kofler e Baylis.

Dovrebbero essere accoppiati a sistemi track and trace, tracciamento che eroderebbe la privacy.

I test sono limitati, quindi è probabile che vadano a gruppi privilegiati e non a quelli che ne hanno più bisogno: gli emarginati e i poveri.

Concentrandosi sull’individuo, concludono gli autori, i passaporti dell’immunità agiscono in definitiva contro il principio principale della salute pubblica: responsabilità collettiva e intervento. (Fonti: Nature Comment, Agi)

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