Suicidi per crisi, aumentano nord. Record in Lombardia, rischio esodati

Pubblicato il 17 Aprile 2012 - 10:25 OLTRE 6 MESI FA

ROMA –  La crisi pesa e il rischio suicidio è sempre più in agguato nella fascia dei cosiddetti esodati, vale a dire tra coloro che hanno tra i 45 e i 64 anni, facendo segnare un incremento di casi del 12,6% nel 2010 rispetto al 2009 e del 16,8% rispetto al 2008: e’ quanto emerge dal Secondo rapporto Eures su ‘Il suicidio in Italia al tempo della crisi’.

L’incremento dei suicidi in questa fascia di eta’ – sottolinea lo studio, realizzato su dati Istat – e’ legato alla vulnerabilita’ in termini occupazionali delle persone comprese in queste fasce di eta’, alle prese con gravi difficolta’ di ricollocazione lavorativa. Ma la disoccupazione, informa l’Eures, e’ anche alla base dei suicidi nelle fasce di eta’ tra 45 e i 54 anni, aumentati del 13,3% rispetto al 2009, e in quella 55-64 anni (+10,5%); il tutto a fronte di una crescita complessiva dell’8,1%.

”Ed e’ proprio in questa fascia che si concentra anche il problema dei cosiddetti ‘esodati’ – sottolinea Eures – ovvero di quei lavoratori usciti dal mercato del lavoro attraverso canali di protezione sociale e che l’attuale riforma Monti-Fornero del sistema pensionistico (in attesa di interventi correttivi), rischia di lasciare totalmente privi di reddito”.

Consistente, tra il 2008 e il 2010, anche l’aumento dei suicidi tra gli over 64 (+6,6%), nella fascia 18-24 (+6,5) e, in misura inferiore, in quella 25-44 anni (+2,3%). Piu’ in generale si conferma la correlazione diretta tra eta’ e ‘propensione al suicidio’, con un indice pari a 8,5 suicidi ogni 100 mila abitanti tra gli over 64, a 6,6 nella fascia 45-64 anni, a 4,6 in quella 25-44, a 2,6 nella fascia 18-24 e a 0,2 tra i minori.

In termini generali, evidenzia l’Eures, il fenomeno del suicidio nel nostro Paese si e’ declinato nel 2010 in prevalenza al maschile, con 8,2 suicidi ogni 100 mila abitanti, tendenza che e’ andata rafforzandosi a partire dal 2007 (quando l’indice era pari a 7,7).

Sono aumentati nel 2010 i suicidi nelle regioni del Centro-Nord, ma a livello territoriale il triste primato se lo e’ aggiudicato la Lombardia (con 496 casi, +3% rispetto al 2009), seguita dal Veneto (320, pari al 10,5% del totale, con un aumento del 16,4% sul 2009) e l’Emilia Romagna (278, 9,1%). Questi alcuni dei dati contenuti nel Secondo Rapporto Eures su ‘Il suicidio in Italia al tempo della crisi’.

Oltre la meta’ dei suicidi censiti in Italia, informa lo studio, avvengono in una regione del Nord (1.628 casi nel 2010, pari al 53,4% del totale), a fronte del 20,5% al Centro (624 casi) e del 26,1% al Sud (796 casi). Anche in termini relativi il Nord conferma i valori piu’ alti, con 5,9 suicidi ogni 100 mila abitanti, a fronte dei 5,3 del Centro e dei 3,8 del Sud. Ma e’ il Centro Italia a registrare nel 2010 la crescita piu’ consistente (+11,2% sul 2009, che sale a +27,3% nel Lazio, con 266 suicidi), a fronte di un +1,8% a Nord e di un calo del 3,5% al Sud. In termini relativi (media 2006-2010) e’ tuttavia la Valle d’Aosta a guidare la graduatoria del rischio suicidario (con 9,2 suicidi ogni 100 mila abitanti), seguita dal Friuli Venezia Giulia (9) e dalla Sardegna (8,9). A livello provinciale (media 2006-2010) il valore piu’ alto si rileva a Vercelli (15 casi per 100 mila abitanti), Belluno (12,9), Ogliastra e Sondrio (12,7), mentre il valore piu’ basso si rileva a Napoli (1,1).

Quello dei suicidi al tempo della crisi e’ un tema entrato ormai di prepotenza nelle cronache quotidiane nel nostro Paese. Ormai da tempo. Infatti  soltanto nel 2010 sono stati 362 i suicidi dei disoccupati, superando ulteriormente i 357 casi registrati nel 2009, che già rappresentavano una forte impennata rispetto ai 270 accertati in media nel triennio precedente (rispettivamente 275, 270 e 260 nel 2006, 2007 e 2008), a riprova della correlazione tra rischio suicidario e integrazione nel tessuto sociale. Tra i disoccupati, informa lo studio, la crescita riguarda principalmente coloro che hanno perduto il lavoro (272 suicidi nel 2009 e 288 nel 2010, a fronte dei circa 200 degli anni precedenti), mentre meno marcato appare l’incremento tra quanti sono alla ricerca della prima occupazione (85 vittime nel 2009 e 74 nel 2010, a fronte delle 67 in media nel triennio precedente).

La crescita dei suicidi dei disoccupati tra il 2008 e il 2010 si attesta complessivamente al 39,2% del totale, salendo al 44,7% tra quanti hanno perduto il lavoro. Considerando la sola componente maschile, l’aumento dei suicidi dei senza lavoro appare ancora piu’ preoccupante (da 213 casi nel 2008 a 303 nel 2009 a 310 nel 2010), attestandosi a +45,5% tra il 2008 e il 2010, confermando cosi’ la centralita’ della variabile occupazionale nella definizione dell’identita’ e del ruolo sociale degli uomini, messo in crisi dalla pressione psicologica derivante dall’impossibilita’ di provvedere e partecipare al soddisfacimento dei bisogni materiali della famiglia.

La gelata economica ha i suoi effetti negativi non solo sul lavoro subordinato e sui ‘senza lavoro’ ma anche nella sfera del lavoro autonomo, inducendo al suicidio anche molti artigiani, commercianti o comunque imprenditori ‘autonomi’: secondo l’Eures nel 2010 questi sarebbero stati ben 336, contro i 343 del 2009. Lo studio definisce infatti ”molto alto il rischio suicidario” in questa componente della forza lavoro direttamente esposta all’impatto della crisi. In dettaglio, nel 2010 si sono contate 192 vittime tra i lavoratori in proprio (artigiani e commercianti) e 144 tra gli imprenditori e i liberi professionisti (sono state 151 nel 2009), costituite in oltre il 90% dei casi da uomini, confermando come tutte le variabili legate a fattori materiali presentino ”indici di mascolinita’ superiori a quello gia’ elevato rilevato in termini generali”. Secondo lo studio pero’ i rischi di suicidio nei momenti di difficolta’ economica sarebbero piu’ alti tra disoccupati e imprenditori, meno invece tra i dipendenti.

Infatti, considerando l’indice di rischio specifico (suicidi per 100 mila abitanti della medesima condizione) sono i disoccupati a presentare l’indice piu’ alto (17,2), seguiti con scarti significativi dagli imprenditori e liberi professionisti (10 suicidi ogni 100 mila imprenditori e liberi professionisti), colpiti dalle fluttuazioni del mercato e, come noto, dai ritardi nei pagamenti per i beni e servizi venduti (in primo luogo da parte della Pubblica Amministrazione) e dalla conseguente difficolta’ di accesso al credito. Seguono i lavoratori in proprio (5,5) e chiudono la graduatoria del rischio i ”piu’ tutelati” lavoratori dipendenti (4,5). Soltanto di poco piu’ alto, infine, l’indice di rischio suicidario degli inattivi (pensionati, casalinghe, studenti, eccetera). Lo spettro della poverta’ e’ anche alla base di numerosi atti estremi da parte di separati e divorziati, ambito che sarebbe a rischio suicidio 15 volte oltre la media soprattutto tra gli uomini. Non a caso, rileva l’Eures, nel 2010 si sono contati 33,8 suicidi ogni 100 mila abitanti separati o divorziati (66,7 tra gli uomini a fronte di 11,8 tra le donne). Assai distanziati i casi di suicidio che hanno riguardato i vedovi (8,6 casi ogni 100 mila abitanti, che sale a 35,5 tra gli uomini a fronte di 3,6 tra le donne) e, con ampio scarto, dai coniugati (4,2) e da celibi e nubili (4,1).