1992 serie Sky. Di Pietro: “Mi è piaciuta, ma Borrelli non mi ha mai frenato”

di Redazione Blitz
Pubblicato il 25 Marzo 2015 - 17:12| Aggiornato il 3 Aprile 2015 OLTRE 6 MESI FA
In primo piano Antonio Gerardi, che in "1992" interpreta Antonio Di Pietro

In primo piano Antonio Gerardi, che in “1992” interpreta Antonio Di Pietro

MILANO – Ad Antonio Di Pietro, pm di Mani Pulite poi naufragato nella politica con la sua Italia dei Valori, la serie di Sky “1992” è piaciuta, ma qualcosa – detta in dipietrese – non c’azzecca. Per esempio, spiega Di Pietro intervistato da Andrea Purgatori per Huffington Post, l’allora procuratore capo Francesco Saverio Borrelli “Non ha mai cercato di frenarmi”, come invece si vede nelle prime due puntate della serie di Sky sull’anno di Tangentopoli. E poi

“Sulla Milano da bere, niente da dire. Era così. Su come se la sono bevuta e come ce li siamo bevuti, ne riparliamo alla prossima puntata”. Ad Antonio Di Pietro “1992” è piaciuto e si è pure divertito a tornare indietro nel tempo, a quel tempo. “Come la vogliamo definire questa serie? Impegnata? Ma hanno fatto bene a dargli quel titolo, perché di Mani Pulite ancora ho visto poco“.

Entrando nei particolari dell’indagine “Mani Pulite”, Di Pietro ci tiene a precisare che prima di “pizzicare” Mario Chiesa i pm di Milano avevano già del materiale su cui indagare:

“Sia chiaro che ci servì come grimaldello per scassinare la cassaforte ed entrare dentro. Perché i nomi degli altri li avevamo già trovati in un sacco di inchieste. Vado a memoria: Lombardia Informatica, Oltrepò Pavese, Carceri d’Oro, Alluvione Valtellina…”.
Era così Di Pietro, scorbutico, sigaro in bocca, testa dura?
“Beh, in questa prima udienza… (ride) lapsus, ma ci sta… in questa prima serata ho visto troppo poco per dare un giudizio sul mio ruolo”. […]
C’è quel passaggio del processo per direttissima a Mario Chiesa, per cui lei lasciò decadere i termini in modo da continuare l’inchiesta. Giusto?
“Le cose andarono proprio così, tranne che per un particolare. Gli sceneggiatori hanno descritto un procuratore capo Borrelli che si voleva liberare del fascicolo e un Di Pietro che si oppose facendo finta di essersi dimenticato dei 15 giorni previsti dal codice per la direttissima. In realtà, in quelle due settimane io ero andato talmente avanti con l’indagine che il processo per direttissima sarebbe stato inopportuno. Io ero già entrato col punteruolo dentro al sistema della Milano da bere che si beveva le istituzioni, la mazzetta fu quello che ci mancava per beccarli con le mani nella marmellata”.
E il ruolo di Borrelli?
“Devo rendergli onore perché non ha mai cercato di frenarmi”.

Per Di Pietro le indagine sulle mazzette di Tangentopoli erano più semplici del lavoro che devono fare gli inquirenti sui tangentari di oggi. Che hanno creato sistemi a prova di inchiesta, giocando sul filo della legalità:

Dopo 23 anni siamo tornati al punto di partenza?
“Magari. Quello che avevamo scoperto ai tempi di Mani Pulite era meglio di quello che sta succedendo adesso. Detto in dipietrese, allora era un po’ come beccare il rapinatore che esce dalla banca col malloppo in mano. Erano illeciti evidenti: falsificavano i bilanci, aprivano i conti correnti all’estero, mandavano bonifici ai pubblici ufficiali da corrompere…”.
Oggi si sono fatti più furbi?
“Basta vedere l’indagine su Incalza per capire l’evoluzione criminale del sistema. Oggi sono quasi riusciti a rendere legale ciò che è illegale, a sbianchettare il reato. Gli atti di chi si è sostituito di fatto al ministro nel suo potere decisionale sono formalmente corretti. Prima c’erano le bustarelle, adesso ci sono i contratti e le mazzette diventano fatture su cui ci pagano pure le tasse. E il giro sociale nel quale si sviluppa la corruzione ti garantisce pure il pacchetto di voti necessario a farti eleggere. E’ un’associazione a delinquere che non ha più nemmeno bisogno di essere mafiosa ma usa la politica per raggiungere lo stesso scopo”.

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