G20 di Londra: il grande evento rischia il grande flop

Pubblicato il 30 Marzo 2009 - 12:28 OLTRE 6 MESI FA

Giovedì 2 aprile ha inizio a Londra la riunione dei G20, i più grandi paesi del mondo, industrializzati e in via di sviluppo. Ci si aspetta molto caos per le strade della capitale inglese, e vedremo come Scotland Yard e i servizi britannici gestiranno l’evento.

Non ci si aspetta invece molto dalla parata di capi di governo. Il primo ministro britannico Gordon Brown aveva parlato di una nuova Bretton Woods, dal nome della località inglese in cui si tenne, poco dopo la guerra mondiale, un summit da cui uscì plasmata per decenni l’economia mondiale. Sembra dovrà accontentarsi di meno. Prima di pensare alle grandi architetture, bisogna ancora salvare la casa dall’incendio.

Un fatto sembra certo: i venti milioni di posti di lavoro che i G20 si vanteranno di creare sono in parte già realtà, in parte sono conseguenza di misure già annunciate. Dal summit di Londra non dovrebbe uscire nessuna misura coordinata di intervento globale, anche perché americani e europei sono divisi su molti punti e anche gli europei tra loro.

Le uniche cose concrete saranno alla fine una ulteriore stretta per i paradisi fiscali (gli inglesi dovrebbero cominciare per primi, con quello che ha sede a poche miglia dalla costa britannica) e misure più rigorose su stipendi e premi dei mega banchieri. Tutte cose che fanno bene al cuore di chi non ha soldi, riconducono le azioni dell’economia a qualche principio etico in più, ma non sono certo in grado di risolvere i problemi della fame nel mondo e nemmeno quelli del suo sviluppo.

E sempre è opportuno ricordare che l’avidità dei banchieri si è potuta soddisfare solo grazie alla complicità dei governi americano e inglese, che con il boom artificiale di casa e subprime facevano così dimenticare la loro dissennata politica in Iraq.

Sulla sfondo del meeting di Londra ci sono poi anche le ambizioni di paesi come la Cina che, a fronte di un maggiore impegno finanziario nel Fondo monetario imternazionale (con parecchio denaro è intervenuta anche l’Arabia Saudita), vogliono maggior voce in capitolo rispetto agli americani. Che ovviamente non hanno alcuna intenzione di mollare.