La nipote di Benedetto Croce: “Saviano mistifica storia e memoria”

Pubblicato il 9 Marzo 2011 - 12:55 OLTRE 6 MESI FA

Roberto Saviano

NAPOLI – L’ultimo “schiaffo” a Roberto Saviano è su una questione di storia e viene dalla nipote di Benedetto Croce, Marta Herling. In una lettera al Corriere del Mezzogiorno si prende la briga di bacchettare passo dopo passo l’autore di Gomorra.

Parte dalla ricostruzione del terremoto del 1883 a Casamicciola, comune dell’isola d’Ischia, dove un Benedetto Croce di appena 17 anni perse il padre Pasquale, la madre Luisa e la sorella Maria.

Saviano ha raccontato in uno dei monologhi di “Vieni via con me” quella storia, ma per la Herling la sua versione è “una mistificazione della storia e della memoria”, in particolare quando lo scrittore racconta: “Per molte ore il padre gli parlò, prima di spegnersi. Gli disse: Offri centomila lire a chi ti salva”.

Secondo la Herling Saviano ha tirato fuori le informazioni che ha dato “dalla sua mente di profeta del passato e del futuro, di scrittore la cui celebrità meritata con la sua opera prima, è stata trascinata dall’onda mediatica e del mercato editoriale, al quale è concesso di non verificare la corrispondenza fra le parole e fatti, o come insegnano gli storici, fra il racconto, la narrazione degli eventi, e le fonti, i documenti che ne sono diretta testimonianza”.

Nelle Memorie della mia vita (10 aprile 1902), c’è la ricostruzione di Benedetto Croce:

«Nel luglio 1883 mi trovavo da pochi giorni, con mio padre, mia madre e mia sorella Maria, a Casamicciola, in una pensione chiamata Villa Verde nell’alto della città, quando la sera del 29 accadde il terribile tremoto. Ricordo che si era finito di pranzare, e stavamo raccolti tutti in una stanza che dava sulla terrazza: mio padre scriveva una lettera, io leggevo di fronte a lui, mia madre e mia sorella discorrevano in un angolo l’una accanto all’altra, quando un rombo si udì cupo e prolungato, e nell’attimo stesso l’edifizio si sgretolò su di noi. Vidi in un baleno mio padre levarsi in piedi e mia sorella gettarsi nelle braccia di mia madre; io istintivamente sbalzai sulla terrazza, che mi si aprì sotto i piedi, e perdetti ogni coscienza.

Rinvenni a notte alta, e mi trovai sepolto fino al collo, e sul mio capo scintillavano le stelle, e vedevo intorno il terriccio giallo, e non riuscivo a raccapezzarmi su ciò che era accaduto, e mi pareva di sognare. Compresi dopo un poco, e restai calmo, come accade nelle grandi disgrazie. Chiamai al soccorso per me e per mio padre, di cui ascoltavo la voce poco lontano; malgrado ogni sforzo, non riuscii da me solo a districarmi. Verso la mattina, fui cavato fuori da due soldati e steso su una barella all’aperto. Mio cugino fu tra i primi a recarsi da Napoli a Casamicciola, appena giunta notizia vaga del disastro. Ed egli mi fece trasportare a Napoli in casa sua. Mio padre, mia madre e mia sorella, furono rinvenuti solo nei giorni seguenti, morti sotto le macerie: mia sorella e mia madre abbracciate. Io m’ero rotto il braccio destro nel gomito, e fratturato in più punti il femore destro; ma risentivo poco o nessuna sofferenza, anzi come una certa consolazione di avere, in quel disastro, anche io ricevuto qualche danno: provavo come un rimorso di essermi salvato solo tra i miei, e l’idea di restare storpio o altrimenti offeso mi riusciva indifferente».