Il rifugio di Bin Laden visto da Google Earth…

di Pino Nicotri
Pubblicato il 4 Maggio 2011 - 13:09 OLTRE 6 MESI FA

La realtà a volte supera la fantasia. Se su Google Earth si cerca Abbottabad e se ne ingrandisce l’immagine il puntatore si ferma automaticamente a pochi metri da quello che in un primo momento è stato indicato come il rifugio di Bin Laden da sei anni. Ciò significa che chiunque in questi anni avesse cercato via Internet di questo paese di 31 mila persone e notevole centro commerciale, dotato di molte cliniche, ospedali, stadi, compreso quello per il cricket, e perfino di una chiesa cristiana, di S. Luca, sarebbe stato trasportato velocissimamente da Google Earth a vedere dall’alto anche la casa del Ricercato Mondiale Numero Uno.

Le foto usate da Google sono state scattate dal satellite il 12 maggio 2010, vale a dire quando Bin Laden abitava lì già da cinque anni, perciò è possibile che le auto e le persone visibili nei cortili della palazzina siano del suo entourage e che magari sia stato fotografato anche lui. La palazzina indicata in un primo momento come la tana del padre padrone di Al Qaeda si trova tra Hospital Road e College Road – due vie trafficate perché, come dicono i loro nomi, una porta a un grande ospedale e l’altra a una grande scuola composta da varie palazzine – ed è quasi affacciata sull’arteria del Karakoram Highway che taglia in due il paesone, a pochi metri dalla fermata d’autobus Adda Stop. Sull’altro lato della Haighway c’è il Burn Hall College, vale a dire il complesso militare della scuola dell’esercito pachistano, della quale c’è anche la parte frequentata da donne.

Il College ha una sua pagina in Facebook e in queste ore ospita una serie di commenti su Bin Laden e la sua fine. E’ notevole ciò che vi ha scritto ieri – 3 maggio – il giornalista Hamid Mir che ha intervistato più volte il capo di Al Qaeda scrivendone anche una biografia.

Le foto diffuse in seguito mostrano un rifugio in zona più periferica, ma pur sempre a un tiro di schioppo dalla scuola militare. La quale, pur essendo il Pakistan un Paese che non ha certo l’alfabeto latino, mostra sorprendentemente ed orgogliosamente sotto il disegno di un’aquila imperiale un motto in latino: “Quo non ascendam”. Alla lettera il motto significa “Dove non posso arrivare”, ma viene comunemente interpretato, specie nel college militare, come “Per quali vette non possiamo salire”.

Non si tratta dell’ammissione che ci sono vette inaccessibili, ma di una sfida come per dire “Possiamo salire dove vogliamo”, ovviamente riferito a chi studia duro al college Burn Hall. La storia di questo motto è curiosa. Apparteneva al blasone di Nicolas Fouquet, sovrintendente alle Finanze del re di Francia Luigi XIV. Protettore di scrittori ed artisti, nel 1661 cadde in disgrazia, venne arrestato e trasferito in fortezza, dove morì vent’anni dopo, in circostanze per alcuni poco chiare.

La famiglia dei Fouquet, nome che in dialetto angioino significa scoiattolo, aveva un proprio blasone raffigurante appunto uno scoiattolo, colto mentre si arrampica su un albero sormontato dal motto di famiglia, scritto però in terza persona e con il punto interrogativo: “Quo non ascendet?”. Saranno i nemici del sovrintendente a storpiarlo in “Quo non ascendam?”, per denunciare la sua smisurata ambizione.

Come sia arrivato un tale motto ad Abbottabad, privo del punto interrogativo, e come sia diventato il biglietto da visita della scuola militare pachistana è un bel mistero. Però sappiamo che “Quo non ascendam” è anche il titolo di un brano musicale scritto da Kenneth Amis, nato nel 1970 alle Bermuda e residente nel Massachusetts, suonatore di tuba, assistente del direttore dell’orchestra MIT Wind Ensemble e docente alla Lynn University in Florida.

Il suo “Quo non ascendam” dura 10 minuti ed è suonato da un organo, sei corni, quattro trombe, tre tromboni tenore, un trombone basso e due tube; un dvd col brano costa 24 euro. Amis è famoso per avere arrangiato una fuga di Bach adattandola a una orchestra di ottoni, di strumenti a fiato in legno e di strumenti a percussione. I destini a volte sono strani. Imperscrutabili.