Fiat Fca un futuro modello Stampubblica: fusione sì, ma gli Agnelli dietro il paravento

di Sergio Carli
Pubblicato il 23 Aprile 2019 - 06:30| Aggiornato il 23 Luglio 2019 OLTRE 6 MESI FA

Fiat, o Fca come si dice oggi, cosa c’è nel suo futuro? Il destino sembra inesorabile: finire fusa con un altro grande player dell’auto mondiale. In parte già lo è, perché ormai la testa del grande gruppo italo americano nato dall’incontro fra Fiat e Chrysler è a Detroit, in America.

Ettore Boffano sul Fatto è stato l’ultimo a scriverne. È anche uno dei pochi rimasti a scrivere di quella che una volta occupava sui giornali più spazio di Alba Parietti e Paolo Bonolis. Oggi la ex Fiat non fa quasi più notizia, il sogno di un posto in Fiat come emblema di sicurezza per la vita è stato azzerato da tempo, le sue problematiche sono scese molto in basso nella lista delle priorità sindacali: più facile occuparsi di temi “alti” come i clandestini e i migranti.

Il futuro, come lo legge Boffano nelle parole di sindacalisti e economisti, è segnato: “Il futuro è il modello Stampubblica”, titola il suo ultimo articolo di una serie. Stampubblica, termine coniato da Giovanni Valentini per etichettare la fusione fra Gruppo Espresso-Repubblica e Editrice La Stampa, definisce ben più di una operazione editoriale: è un modello di governance applicabile anche ad altri tipi di aziende.

Il futuro di Fiat e Chrysler, scrive Boffano, è nelle braccia della francese Peugeot, oggi controllata da un “triumvirato” costituito dalla famiglia Citroen, dalla cinese Dongfeng Motor Corporation e dallo Stato francese, ciascuno col 14,1 per cento (il resto è al sicuro presso investitori istituzionali e in Borsa). Se si andrà in fondo, sarà come la fine di un avvincente romanzo che vede intarsiate (espressione di Vittorio Alfieri) nel grande affresco della storia dell’industria europea le vicende di tre grandi famiglie industriali, gli italiani Agnelli e i francesi Michelin e Citroen.

Ma che dovesse finire così, nel senso che il numero delle case automobilistiche nel mondo si sarebbe ridotto a meno di dieci lo avevano già scritto 40 anni fa i futurologi dell’industria (Krish Bhaskar, The future of the world motor industry, 1980).

Ora siamo alla frutta. Boffano scrive:

“Tutte le analisi serie continuano a girare attorno alla sola proposta in campo che abbia i crismi dell’ufficialità. Quella della Peugeot che, nelle settimane scorse, ha parlato con chiarezza della propria disponibilità ad aprire una trattativa. Con un obiettivo non detto, ma facilmente identificabile: usare la testa di ponte di Fca (di Chrysler a dire il vero) per tornare nel mercato statunitense. Una strategia che dovrà affrontare le compatibilità tra il proprio assetto societario (una vera e propria “conglomerata” con la famiglia Peugeot, lo Stato francese e una partecipazione cinese che, come accade per questi grandi investimenti di Pechino, conserva comunque una supervisione anch’essa statale) e le volontà del governo Usa (soprattutto a guida Trump)”.

E cita Giorgio Airaudo, leader storico dei metalmeccanici della Cgil (segretario della Fiom torinese, poi deputato con Sel, in procinto di ritornare con un ruolo attivo tra i metalmeccanici della Cgil):

“Se l’ipotesi è questa, la diluizione del controllo di Fca potrebbe essere la soluzione più gradita al presidente di Fca, John Elkann. All’apparenza, lui sembra resistere e le sue parole su un impegno che dura da 120 anni o certe sue visioni sul futuro del mercato dell’auto sembrano rispondere proprio a questa esigenza. Nello stesso tempo, il segnale di Peugeot, più a che a lui, sembra destinato al resto degli azionisti, i membri dell’accomandita di famiglia. C’è un’assoluta identità di vedute o esistono posizioni pronte a differenziarsi? 

Con un po’ di ironia, si può anche notare che nella combine entrerà anche la tedesca Opel, acquisita nel 2017 dalla Peugeot dopo lo smacco subito da Marchionne nel 2009. Marchionne, prima della Chrysler, aveva messo gli occhi sulla Opel, perfetto matrimonio per Fiat. La convinzione diffusa all’epoca fu che si misero di traverso i sindacati tedeschi, preoccupati dai tagli all’occupazione che l’integrazione con Fiat avrebbe comportato. 

Anche se fonti dal mondo della finanza attribuirono il fallimento dell’operazione anche a errori tattici e comportamentali di Sergio Marchionne (quote, prezzi ecc.), rilevante fu sicuramente la pressione esercitata dal sindacato tedesco sulla cancelliera Angela Merkel in periodo di elezioni.

Esattamente il contrario di quanto fecero Cgil, Cisl e Uil quando Marchionne rivolse le sue attenzioni sulla Chrysler. Allora semplicemente si girarono dall’altra parte. Per non parlare degli ineffabili Piero Fassino e Sergio Chiamparino, simboli del post Pci, che Marchionne appoggiarono e non la parte più avveduta del sindacato.

Solo la Fiom si rese conto dei rischi per l’occupazione operaia e per Torino in genere. Nessuno li prese sul serio, anche per una certa tendenza alla rissa di frange come i Cobas e per la loro propensione a scelte estreme, che alla fine ne fece in un certo senso degli effettivi quanto imrpobabili alleati di Marchionne.

Ancora una volta la capacità di analisi di Airaudo è ammirevole e fa concludere a Boffano che “la strada è segnata”.

“Elkann continua a parlare di auto elettrica, in una società che, anche su questo fronte, è all’ultimo posto tra i produttori e, sempre Elkann, continua ad affidare le sorti di Mirafiori proprio al nuovo modello elettrico della 500 Fiat. […]

“Il problema diventa quello di declinare soprattutto le condizioni delle strategie che verranno. Vendita, alleanza, diluizione della propria partecipazione, joint venture, realizzazione di piattaforme comuni con altri produttori o ancora una volta la sfida di chi corre da solo?

“L’ultima ipotesi a Torino fa sorridere e, invece, qualcosa di più di un sorriso strappano le altre dichiarazioni dall’Olanda (la nuova sede legale del gruppo, mentre il domicilio fiscale è a Londra) del nipote di Gianni Agnelli e figlio di Alain Elkann: “Fca non è mai stata più forte e così in salute come oggi. Siamo pronti a giocare il nostro ruolo in questa nuova ed entusiasmante era dell’industria dell’auto”. Frasi che, in riva al Po, sono state subito collegate ancora una volta alla tattica attendista: “Che cosa dovrebbe mai dire di diverso Elkann? In realtà, a ben guardare, non sta dicendo nulla: siamo qui, stiamo a vedere, nulla è precluso…”.

“Lo scetticismo riguarda soprattutto il “paravento” dell’auto elettrica, sbandierata e vantata da alcuni mesi e non solo per il futuro della Grande Mirafiori (che sta rasentando gli 11 anni di cig ripetuta), ma per quello dell’intero gruppo. E difesa, sino all’alterco mediatico (il segnale di un nervo molto scoperto), persino con l’ex presidente della Fiat Luca Cordero di Montezemolo che, su Repubblica, aveva ironizzato sull’unico veicolo elettrico attribuibile a Fca, ma targato Ferrari.

“L’economista dell’auto Giuseppe Berta è lapidario: “In realtà, la ricerca targata Fca in quel settore è in ritardissimo. La Fiat 500 elettrica? C’è da immaginare volumi di vendita, basta ragionare sui dati Anfia, attorno alle poche migliaia. Nissan, che sta davanti a tutti, ha messo assieme 47 mila vetture elettriche nel 2018. Dire che questo è già il futuro di Fca è un’assoluta esagerazione”.

“Airaudo evoca addirittura Umberto Agnelli: “Quanto costa tenere in pedi lo stabilimento di Mirafiori? Lui un giorno uscì allo scoperto e disse: serve una produzione di 200 mila auto all’anno. È vero, tante cose sono cambiate, ma non sembra possibile una rapida espansione di auto elettriche capace di dare garanzie in tal senso”. La disomogeneità del gruppo, infine, con tutta la sua vera forza concentrata negli Usa e una debolezza cronica in Europa, lascia pochi margini per nutrire le stesse certezze di John Elkann.

“Una possibile diluizione che qualcuno comincia a immaginare, costruendo addirittura una similitudine con qualcosa di particolare già avvenuto all’ombra di John Elkann e nel regno Exor: la fusione del 2017 tra il Gruppo Espresso-Repubblica e quello Itedi-La Stampa-Secolo XIX, diventati Gruppo Editoriale Gedi con la quota più forte saldamente in mano ai De Benedetti. Ma dove Elkann continua ad avere un peso addirittura superiore alla quota reale: lo stesso potrebbe dunque accadere un domani con Fca, realizzando così il Bingo di intascare denaro (l’interesse che sta dietro molti membri dell’accomandita di famiglia), mantenere un certo qual peso o almeno il prestigio, diversificare a quel punto gli investimenti di Exor e, infine, impedire che si parli di fuga degli eredi Agnelli.

“La suggestione Stampa-Repubblica secondo me ha qualche chance di realizzarsi – conclude Airaudo -. A questo punto, però, ciò che non si vede è l’attenzione del governo italiano e delle istituzioni piemontesi attorno a questa vicenda. Se è vero che lo Stato francese ha degli interessi nella Peugeot e che il governo Usa potrebbe voler dire la sua sull’arrivo di marchi a partecipazione cinese, in Italia invece il silenzio su Fca è tombale. In Piemonte la campagna elettorale per le regionali di maggio è tutta concentrata sul Tav e nessuno, a cominciare dal Pd e da Sergio Chiamparino, parla di Fca”. Che nell’area piemontese vale, tra Mirafiori, Maserati di Grugliasco e indotto, almeno 90-100 mila lavoratori”.