Vargas Llosa e la dittatura del “divertente”: “Allen sta a Welles come Fo sta a Cechov”
Pubblicato il 23 Maggio 2013 - 06:00 OLTRE 6 MESI FA
“Mettiamola giù così, a postulato brutale, fantaletterario: se nel secolo 20 avessero dominato i rating editoriali di oggi, in libreria non troveremmo né Proust né Joyce né Musil. Non perché andati a ruba o slittati fuori catalogo, ma perché mai pubblicati. Troppo macchinosi, cervellotici, prolissi. Detto in linguaggio tecnico: pallosi.
[…] Il suo libro (La civiltà dello spettacolo di Mario Vargas Llosa, ndr) si apre con un brivido cupo: «Oggi la cultura, nel senso attribuito per tradizione a questo vocabolo, è sul punto di scomparire. O forse è ormai scomparsa». Accoppata. Da chi? L’intrattenimento. Un polipo gigante. Che allunga i suoi tentacoli vischiosi in ogni direzione: letteratura, arte, politica, giornalismo… Se non diverti non sei.
[…] «Si privilegia l’ingegno rispetto all’intelligenza, lo humour rispetto alla profondità – chi si è proclamato icona del cinema ai giorni nostri? Woody Allen, che sta a David Lean o a Orson Welles come Andy Warhol sta a Gauguin o Van Gogh nella pittura, o Dario Fo a Cechov e Ibsen nel teatro»”
Marco Cicala, “Gli sculturati”, intervista a Mario Vargas Llosa per Il Venerdì di Repubblica n.1313 del 17 maggio 2013.