Birmania: dopo l’arresto di Aung San Suu Kyi, chi si ostina a riconoscere le elezioni del 2010?

di Cecilia Brighi
Pubblicato il 12 Agosto 2009 - 17:30| Aggiornato il 13 Ottobre 2010 OLTRE 6 MESI FA

C’era da aspettarselo. Il piano orchestrato dalla Giunta birmana con la cosiddetta roadmap per la democrazia si sta realizzando senza inciampi. Prima la stesura di una costituzione farsa che garantirà il potere ai militari per i prossimi anni. Costituzione che vieta a coloro che sono stati condannati e a coloro che sono sposati con stranieri di partecipare alle elezioni.

Poi il referendum con cui hanno obbligato i birmani ad accettare la costituzione e, ora, in vista dell’ultimo passaggio (le elezioni) hanno deciso di mettere a tacere la voce più autorevole del paese: Aung San Suu Kyi. Lo possono fare perchè il Consiglio di sicurezza Onu è paralizzato dal veto di Russia e Cina, perchè l’Asean risente degli interessi dei paesi asiatici inclusa l’India e perchè le sanzioni UE, non solo sono parziali ma anche inapplicate.

Ora poi ci si dovrebbe preoccupare degli stretti legami con la Corea del Nord e la Russia per la costruzione di un reattore nucleare sperimentale, della costruzione di una diffusissima rete di tunnel sotterranei sufficientemente larghi per far transitare veicoli, ospitare i militari per mesi con provviste sufficienti a garantire la loro autonomia. E poi le visite ad alto livello a Pyongyang per l’acquisto di armamenti sofisticati.

Ma neanche questo scuote i grandi che al G8 hanno lanciato un timido appello per la liberazione della Signora. Oggi ci si aspetta che il Consiglio di sicurezza Onu approvi l’embargo totale delle armi e una Commissione di inchiesta sui crimini contro l’umanità. E poi si decida di ritirare le credenziali alla giunta. Lo scorso anno il governo italiano aveva dichiarato che quesata richiesta era intempestiva.

E ora è sufficientemente tempestiva? Il premier Berlusconi, poi, potrebbe usare la forte amicizia con Putin per ottenere che la Russia faccia un passo indietro decisivo e la smetta di proteggere i macellai di Rangoon. Rimangono infine anche le nostre imprese che continuano a fare affari in Birmania. Sarebbe ora di intensificare i controlli e di sanzionare quelle che stanno violando le regole Ue. Chi si ostina a riconoscere le elezioni del 2010?