Autostrade, la Procura di Genova inchioda col vinavil i Benetton e avvicina la revoca

di Franco Manzitti
Pubblicato il 15 Novembre 2020 - 07:47 OLTRE 6 MESI FA
Ponte Morandi di Genova, accuse più gravi per indagati. procura: “Sensori non messi dolosamente”

Autostrade, la Procura di Genova inchioda col vinavil i Benetton e avvicina la revoca

Autostrade, vinavil e  piloni corrosi. La Waterloo di Castellucci, ex enfant prodige di Autostrade dei Benetton.

Autostrade, i pannelli stavano in piedi attaccati alla base con il Vinavil, la famosa colla che si compra in qualsiasi negozio, quelle barriere fono-assorbenti che circondano l’autostrada dentro e intorno a Genova. Messe in piedi in quattro e quattr’otto nel 2017, per proteggere le popolazioni che hanno il traffico a metri, in alcuni casi centimetri dalle finestre di casa.

L’”operazione Vinavil”, smascherata dalle intercettazioni della Procura di Genova, è servita ai manager di Autostrade per costruire quella colossale protezione fittizia. Che da Rapallo arrivava fino a Voltri, sulle Autostrade A12 e A10. Riparando dal rumore intere delegazioni di Genova, da Sanpierdarena fino a Sestri Ponente, a Prà, a Voltri. E fino alla ridente periferia di Rapallo, nella Riviera del Tigullio.

Ti infilavi in queste gallerie con i buchi, dove il sole del giorno improvvisamente spariva e la pioggia si fermava, pensando di essere al sicuro.

E gli abitanti delle case costruite, dove l’autostrada degli anni Sessanta e Settanta passava come un serpente urlante, non si facevano trapanare il cervello dal rimbombo, diventato una tempesta. Da quando il traffico era al 70 per cento quello dei Tir in uscita o in entrata nel porto di Genova.

Peccato che quella protezione fosse una mina vagante, lunga decine di chilometri, per l’esattezza 30. Che una raffica di vento poteva strappare e sbattere in mezzo alle carreggiate.

Gli ancoraggi a terra erano ridicoli. L’allestimento data 2017 ed era obbligatorio, dopo un accordo con la concessionaria Aspi. Ma costava troppo e allora i manager Autostrade studiavano come risparmiare.

“Sti, ca…..e quanto ci costa?”, diceva Michele Donferri Mitelli il responsabile delle manutenzioni, intercettato dalla Guardia di Finanza di Genova. E allora vai con il Vinavil e con resine non autorizzate.

Donferri allora aveva anche studiato un soluzione aziendalista. Addossare le colpe ai subappaltatori. E abbassare le ribaltine, cioè ridurre l’altezza delle barriere per “prendere meno vento”.

Una soluzione perdente e che aveva alimentato le proteste degli abitanti. Il baccano autostradale arrivava lo stesso.

Insomma una soluzione demenziale. Non fermava il vento e non stoppava il rumore. Ed era ad alto rischio, perché le barriere potevano cadere sul traffico e causare incidenti gravissimi.

Per questo quando la fragilità di quelle strutture è stata smascherata dagli accertamenti della Procura della Repubblica è partito l’ordine di smontare tutto.

Era il maggio scorso e l’inchiesta partiva da quella principale sul crollo del Morandi. Così Autostrade, terrorizzata dai giudici, ha incominciato a smontare. Mentre correva ai ripari anche per le gallerie delle rete ligure, scoperte in devastanti situazioni di sicurezza e tutta la Liguria si è paralizzata.

Per i mesi di maggio, giugno, luglio viaggiare da Ventimiglia e soprattutto da Savona alla Spezia è stato un disastro.

Code di ore e ore, corsie chiuse, gallerie chiuse. Il traffico del primo dopo lock-down praticamente paralizzato, un colpo secco ai flussi turistici, che faticosamente riprendevano.

Quell’inchiesta, che ha smascherato il Vinavil, la colla per “ancorare” le barriere, è sfociata ora nei provvedimenti più importanti, dopo la tragedia del ponte Morandi. Gli arresti di Paolo Berti, ex direttore generale di Aspi, di Michele Donferri Mitelli, ex addetto alla manutenzione. E, soprattutto di Giovanni Castellucci, l’amministratore delegato di Aspi, il deus ex machina di Atlantia, la società a maggioranza Benetton. Che aveva in mano le autostrade “dalle uova d’oro”. Dove si facevano principeschi profitti e non si spendeva quasi nulla per le manutenzioni. Dove i dividendi venivano prima della vita degli utenti.

Tutto era deflagrato il 14 agosto 2018 con il crollo del Morandi e le 43 vittime e il colpo mortale alla rete infrastrutturale italiana ed europea. Nelle intercettazioni che hanno smascherato l’operazione Vinavil ci sono anche rivelazioni clamorose sullo stato dello stesso Morandi.

Telefonate del 2018, esattamente del 25 giugno, un mese e mezzo prima della tragedia, nelle quali appunto Berti e Donferri Mitelli commentano lo stato del viadotto: “I cavi del Morandi sono corrosi”, dicono gli sciagurati, quando sarebbe bastato questo allarme a far chiudere subito il ponte e evitare la tragedia.

Non solo, dopo il 14 agosto il Berti avrebbe tentato di cancellare quei messaggi di allarme che il top managment aveva disatteso. Ma la Finanza avrebbe trovato quei messaggi sul cellulare di Donferri Mitelli. E questo particolare “inchioda” i manager di allora, oggi ovviamente licenziati dal nuovo corso. E costituisce la probabile “bomba iniziale” che l’ufficio della pubblica accusa si potrà giocare quando il tanto atteso processo per il crollo finalmente avrà inizio.

Voci insistenti dal palazzo di Giustizia riferivano da tempo che ci sarà una grande “discoverta” nei primi atti del processo tanto atteso. E che le prove accumulate sono tali che l’accusa ha già in mano un clamoroso esito di quello che sarà sicuramente considerato “il processo” di questo inizio millennio.

Proprio per queste ragioni i tre arrestati per le barriere fono-assorbenti sono stati accusati di frode e di attentato alla sicurezza dei trasporti. E il gip di Genova che li ha fatti arrestare, Paola Faggioni, ha scritto nel provvedimento che “è un quadro desolante. In cui è emersa l’insicurezza della rete autostradale con riferimento ai viadotti, alle gallerie e alle barriere di contenimento”.

Si tratta di un capitolo del processo principale, quello nato dal crollo dell’agosto 2018. E nel quale la figura che si staglia giudiziariamente, come mai era accaduto finora, è quella di Giovanni Castellucci. È il manager che ha guidato la società dei Benetton per venti anni e che, sempre secondo il gip, ha continuato anche dopo essere uscito di scena a influire a livelli apicali. “

La gestione di Castellucci non avrebbe mai brillato negli impegni sulla sicurezza della rete autostradale. Anche nelle parole di Gianni Mion, presidente della Edizioni Holding, la cassaforte della famiglia di Treviso. Dalle intercettazioni della Guardia di Finanza si leggono le sue parole in merito. “Il vero grande problema, dice Mion nel febbraio del 2020, è che le manutenzioni le abbiamo sempre fatte a calare, e Gilberto Benetton e tutta la famiglia erano contenti….”

Si capisce perché: dal 1999 al 2019 hanno distribuito 9 miliardi di dividendi. Il dio profitto era il comandamento per andare avanti. E Castellucci un vero duro, spietato e spregiudicato nel perseguire i suoi scopi.

I suoi “colonnelli” eseguivano senza alcuna obiezione.

Dalle intercettazioni che stanno scatenando un putiferio, una tempesta straannunciata a Genova, viene fuori anche che dopo la tragedia i manager si raccomandavano a vicenda. Di “riempire un trolley di carte sul Morandi e di portarlo via subito dalla Polcevera (la valle dove c’era il ponte crollato) per non farsi scoprire. Una specie di colossale ammissione di colpa.

D’altra parte cosa aspettarsi da uno come Castellucci, che aveva avuto la faccia di presentarsi, il 7 settembre 2018, neppure tre settimane dopo la tragedia nel palazzo della Regione. Con Renzo Piano, il sindaco Marco Bucci, il governatore Giovanni Toti, il presidente Fincantieri Giuseppe Bono. Con in mano il modellino del nuovo ponte, che lui voleva costruire subito.

Quel modellino gli era addirittura caduto di mano, quasi un segno dell’atmosfera di gelo che lo circondava. E al primo anniversario della tragedia, il 14 agosto del 2019, i manager Autostrade erano praticamente stati spediti fuori dalla cerimonia. Per l’indignazione dei parenti delle vittime che non li volevano vedere.

Castellucci era stato il successore di  personaggi quasi leggendari. Ultimo Vito Gamberale. Che il giovane ingegnere bocconiano, venuto dalle Marche,  nel 2006 sostituì.

Da timido e misterioso divenne un duro. Anche per i suoi azionisti, cui assicurava margini di profitto sempre più alti. Una carriera in ascesa vertiginosa. Fino a quando nel 2013 un bus precipita da un viadotto autostradale ad Avellino. E Castellucci finisce sul banco degli imputati: ci sono 43 morti.

Dal processo si salverà, pagheranno i manager sotto. Ma è solo l’anticipo della sciagura del Morandi.

Il ceo dai profitti d’oro non ha mai neppure chiesto scusa per quei 43 morti. Si dimetterà prima da Aspi, poi da Atlantia. La sua buonuscita grida ancora vendetta: 13 milioni. Un insulto per quelle vittime che oggi, 27 mesi dopo, per la prima volta sostengono di intravvedere con il suo arresto un primo segnale di giustizia.

Ma tra il Vinavil delle barriere fonoassorbenti, le rivelazioni sull’allarme per le condizioni degli stralli del Morandi. Le telefonate nascoste ma ripescate dalla Finanza. I documenti da fare sparire nei giorni dopo tragedia. Resta ancor tutta aperta la questione della concessione ai Benetton. Che il governo prima giallo verde, poi giallo rosso, continua a tenere sospesa. In una trattativa apparentemente inestricabile tra i Benetton stessi, Cassa Depositi e Prestiti, fondi internazionali. E, ovviamente, il Ministero dei Trasporti, con la titolare, la dem Paola De Micheli, stretta in una tenaglia che non riesce a allentare, perché non si decide.

Ora la revoca della concessione, minata ancora di più dal “salto” dell’inchiesta di Genova, rimane ancora appesa a un accordo di vendita tra Atlantia e Cassa Depositi e Prestiti, in cordata con quei fondi, Blackstone e Macquarie.

A fine novembre si attende un’offerta adeguata da parte di Cdp. Ma con Atlantia c’è distanza di prezzo. E una questione spinosa sulla manleva per le future cause per il crollo del Morandi. Trattative complicatissime. E oggi, di fronte all’avidità dimostrata nelle telefonate dei concessionari, quasi surreali.

Se viaggi sul nuovo ponte, ti imbatti quasi subito, dopo averlo superato, nella zona delle barriere fonoassorbenti, rimosse nel grande caos dell’ultima estate. Il ponte è stato costruito a tempo di record. Non certo da Aspi, ma dal Consorzio PerGenova del commissario straordinario Marco Bucci,

Ora gli accordi prevedono che quelle barriere vengano riposizionate. Così come le gallerie andranno ripulite e rinforzate. A cura del concessionario che è sempre lo stesso. A meno che, come molti auspicano, gli ultimi arresti e le rivelazioni non accelerino la famosa revoca tanto invocata, 27 mesi dopo….