Toti e il terzo mandato in Liguria: è nello statuto, Rixi (Lega) lo candida, il vuoto a sinistra lo aiuta

di Franco Manzitti
Pubblicato il 17 Dicembre 2023 - 08:24
Toti e il terzo mandato in Liguria: è nello statuto, Rixi (Lega) lo candida, il vuoto a sinistra lo aiuta

Toti e il terzo mandato in Liguria: è nello statuto, Rixi (Lega) lo candida, il vuoto a sinistra lo aiuta

Toti e il terzo mandato, tra veti e fallimenti in Liguria. Non c’è il due senza il tre, deve avere pensato Giovanni Toti, quello che molti chiamano, sbagliando, il “governatore”.

Si tratta di un titolo che non è attribuibile al presidente della Regione e con il quale si forza  una autonomia, differenziata o no che sia, alla quale molti puntano.
Dopo dieci anni di presidenza regionale, un tetto che in Liguria aveva raggiunto solo Claudio Burando, dal 2005 al fatidico 2015 della inattesa vittoria dell’allora superberlusconiano, giornalista, direttore di testate Mediaset, Giovanni Toti, delfino del Cavaliere, a lui non basta.
O meglio l’imbuto della sua politica lo riporta a tentare la terza volta, essendosi ristretti o chiusi  tutti gli altri obiettivi che questo trasbordante, incessante, ultracomunicativo  leader, oramai politicamente fluido tra destra e centro, ha mirato nel corso di dieci anni così impegnativi.
Era un quarantenne baciato dalla fortuna di avere inopinatamente conquistato la Liguria. Oggi è un cinquantenne quasi obbligato a restare attaccato al terzo mandato.
I suoi tentativi di mettersi a capo di un movimento moderato di centro, dopo avere rotto anche bruscamente con la sua matrice berlusconiana, sono stati insistenti e spettacolari, con la creazione di movimenti, liste, ipotetiche coalizioni, ballando tra la chimera del centro e il civismo, per lui colorato con l’ arancione della sua lista ligure.
Ci sono state anche mosse  incisive e riunioni promettenti, come quella dell’estate 2019, 9 luglio, al teatro Brancaccio di Roma con una adunata moderata di 1500 partecipanti, che sembrava decisiva per far decollare il progetto totiano.
Si parlava allora di una ventina di deputati, pronti ad accodarsi e a decine di amministratori locali. Slogan, striscioni, abbracci, grandi discorsi e poi tutto si è sciolto nelle spire della politica nazionale.
Si chiamava “Coraggio Italia”  e “Italia in crescita” quel tentativo di fondare al centro che avrebbe potuto portato il leader ligure definitivamente su una ribalta nazionale.
Magari in corsa anche per un ruolo nel governo.  
Poi è nato “Noi moderati”, un altro movimento, tutt’ora in corsa, la “firma” di Toti, che ha portato in parlamento un pugno, meglio un pugnetto, di rappresentanti, tra cui la ligure Ilaria Cavo, già assessora regionale, con un pedigree giornalistico uguale a quello del suo mentore.
Ma questo movimento non ha mai agguantato una quota consistente di consensi nel dedalo dei sondaggi. E così è rimasta solo una pista ligure per Toti e i suoi, sbatacchiati anche da qualche polemica, poi ricucita ma dura, con la Lega di Edoardo Rixi, il capo in Liguria, colui che aveva elegantemente ceduto il suo posto di candidato presidente, facendo indirettamente la fortuna dell’ex delfino berlusconiano.
Vinta la seconda battaglia regionale nel 2020 con grande facilità, vista anche la scarsità dell’offerta del centro sinistra, il prode Toti, prendendo a suo favore tutto il vento di destra che soffiava nel paese, ha consolidato il suo potere regionale, dove ha accusato solo una sconfitta a Savona.
Ma nello stesso si è chiuso nel suo fortino di dominio quasi assoluto, di rapporti un po’ complicati con i suoi alleati così cambiati nel corso degli anni.
La crescita forte anche in Liguria di Fratelli d’Italia, la resilienza del suo ex partito Forza Italia, la potenza della Lega sull’asse Salvini-Rixi.
E così oggi, a due anni scarsi dalla scadenza del secondo mandato, il rebus ligure è: ce la farà Toti a restare per altri cinque anni in Piazza De Ferrari, eguagliando il record lombardo di Formigoni e quello veneto di Zaia?
La discussione è passata da un calcolo  dell’interessato a tema nazionale sulla liceità del terzo mandato.
E’ un problema delicato che riguarda molte altre regioni italiane prossime al voto, con un peso anche istituzionale, perchè mette a rischio il rinnovamento della politica, l’alternanza, e riguarda la pericolosa creazione di “cacicchi”, troppo legati a un territorio.
Forza Italia per bocca di Antonio Tajani, ministro degli Esteri e leader dopo Berlusconi, ha già posto il veto al terzo mandato.
Toti ha risposto che lo statuto ligure, rinnovato proprio sotto la sua gestione, permette il terzo mandato.
Altri presidenti, in predicato di triplicare, gli hanno fatto eco. 
Ma la questione non è solo costituzionale, è anche e sopratutto politica sul territorio ligure dove Toti, affrancatosi da Forza Italia,  proiettato nei suoi disegni centristi e supercivici, deve avere l’appoggio dei suoi alleati, dove spicca la destra-destra di Fratelli d’ Italia, affamata di potere locale dopo la sua vertiginosa ascesa.
Non sarà salito l’appetito dei meloniani liguri, passati da marginali a onnipotenti? E La Lega, che non si pronuncia ancora, mollerà ancora dopo tutti i dubbi espressi su Toti, obbligato dagli ex lumbard a nominare un assessore alla Sanità, delega che il presidente teneva gelosamente per se dal tempo drammatico della pandemia?  
Fratelli d’Italia ha già aperto una porta al
Toti ter , ma senza slancio: Forza Italia si è beccata la porta in faccia dell’interessato, che non vuole neppure incontrarli e la Lega rompe un lungo silenzio con Rixi che “candida” Toti per il momento in una lunga intervista ai giornali locali, ampliando il tema della sua riconferma a quello nazionale del terzo mandato..
Ma così descritta la battaglia per Toti ter resta una briscola interna al centro destra -destra.
In realtà non è così. Intanto sulla bilancia pesa il vero disastro della Sanità che in otto anni e mezzo la giunta Toti ha contribuito a “minare” con una strisciante privatizzazione, con l’esplosione delle liste d’attesa, con il dramma quotidiano dei pronti soccorsi invasi, con la fatiscenza, non rimediata degli ospedali liguri, da Ventimiglia a La Spezia, mentre a Genova la farsa del Galliera e quella di Erzelli vanno in onda, tra un annuncio e una smentita.
Poi c’è la partita dell’isolamento infrastrutturale ligure, che oramai è conclamato e non solo per il dopo Morandi, di cui Toti non ha responsabilità, ma complessivamente sulle autostrade, nelle ferrovie  e perfino nell’aeroporto.
Dopo avere inaugurato più volte treni definiti “veloci” o “velocetti” per collegare meglio Genova a Roma, Milano e Torino, la situazione è rimasta quella di dieci anni fa.
La Liguria resta al palo. In realtà si viaggia come cinquanta anni fa, anzi peggio.
Una situazione come questa attizzerebbe l’opposizione a incominciare subito la battaglia elettorale, sia contro un possibile Toti ter, sia contro un nuovo contendente.
Invece nulla sembra muoversi nel campo, largo o stretto, dei partiti che da dieci anni sono cristallizzati all’opposizione, soprattutto nel Pd e nei 5 Stelle.
Il neo segretario democratico Natale si è preso il tempo di un anno per trovare la candidatura giusta, capace di riconquistare la Liguria.
Troppo tempo, considerata anche la difficoltà della sinistra in tutte le ultime competizione elettorali, non solo quella regionale.
In questo modo nel centro destra possono tranquillamente continuare a disquisire sul terzo mandato si o no.