Malgieri: epitaffio del bipolarismo, dopo i fallimenti di Pdl e Pd e lo sfascio Udc

di Gennaro Malgieri
Pubblicato il 23 Settembre 2010 - 12:07 OLTRE 6 MESI FA

La guerra è totale. Non ci sono più margini di ricomposizione tra Pdl e Fli. Il rapporto, sia pure soltanto politico, tra Berlusconi e Fini è irrecuperabile. Nessuno vuole più, comprensibilmente, avventurarsi nella “missione impossibile” di tenere insieme ciò che insieme non può stare. Si attende lo show-down subito dopo il discorso di Berlusconi alle Camere, il 29 e il 30 settembre. Conseguentemente all’accelerazione – quale che sia l’esito delle dichiarazioni del premier, fiducia o meno dei finiani, allargamento (paradossale) della stessa maggioranza – le parti in causa si renderanno conto che la situazione è precipitata e nessuno può metterci riparo. Fli si trasformerà presumibilmente in partito; la coalizione di governo si attaccherà a chi potrà per tentare di sopravvivere almeno fino a quando non matureranno le condizioni per andare alle elezioni. I seguaci del presidente della Camera non faranno mai mancare i loro voti su provvedimenti importanti, ma tenteranno di differenziarsi dal Pdl, scavando quotidianamente come goccia nella roccia, con la presentazione di mozioni (quella sul pluralismo televisivo sarà dirompente, anche se non obbligherà il governo a gettare la spugna qualora dovesse raccogliere i consensi che i promotori immaginano), risoluzioni, interrogazioni, interpellanze che metteranno in difficoltà Berlusconi. È chiaro l’intento: logorarlo e prendere tempo.

Non è più questione di numeri (che pure sono importanti) ma di distinzione politica. Del resto quando si arriva a tirare in ballo i servizi segreti deviati come protagonisti della costruzione della presunta “prova” della compravendita della casa di Montecarlo, vuol dire che è finita. E cioè che i piani della politica e dello scontro personale non possono più, semmai lo sono stati, restare separati. Addio al lodo Alfano, al processo breve, al legittimo impedimento; addio al federalismo fiscale, sia pure “equo e solidale”; addio ai provvedimenti per il Mezzogiorno. Non c’è più spazio per niente, soltanto per guerriglia. Il Parlamento si trasformerà dalla prossima settimana in una sorta di Vietnam. Non sarà un bel vedere. E serviranno a poco i risicatissimi voti che Berlusconi riuscirà a trovare per poter restare a palazzo Chigi almeno fino a quando non sarà in grado di ottenere lo scioglimento del Parlamento.

Questo è il quadro oggi. Potrebbe mutare, naturalmente. La politica ci ha abituati a repentini cambiamenti. È perfino possibile che la ragione, da parte di tutti, prevalga e che la salvaguardia del bene comune si faccia strada nella selva delle incomprensioni e dell’incomunicabilità. Si erano accese delle speranze, spentesi sulla strada che dalle Antille porta a Montecarlo. Non so se questo viaggio surreale giustifichi la catastrofe nella quale, loro malgrado, e senza averne nessuna responsabilità, sarebbero coinvolti tutti gli italiani, se si andasse alle elezioni anticipate, ai quali di case e di servizi (segreti o meno) non importa assolutamente nulla. Vorrebbero semplicemente essere governati dalla maggioranza uscita vittoriosa dalle urne, il resto non riescono neppure a vederlo e si rifiutano di comprenderlo: è roba per avvocati, nella migliore delle ipotesi, e se diventa “fatto politico” se la spiccino coloro che ci sono dentro ed hanno l’interesse a chiarire senza per questo far venire meno la governabilità. Discorso semplice e serio che possiamo cogliere all’edicola, al mercato, nello studio medico, sugli autobus e nei bar sorseggiando il primo caffè (sempre più amaro) con i giornali in mano che offrono un’immagine devastata e devastante della classe politica italiana.

Già, anche questa “emergenza”, chiamiamola così, è passata in secondo piano di fronte al rinnovato isterismo che domina la maggioranza. Eppure la cosa più seria che ci sta davanti, politicamente rilevante, è la decomposizione del sistema dei partiti. Il bipolarismo è platealmente fallito. Ce ne rammarichiamo, ma non possiamo continuare a sostenere il contrario soltanto perché restiamo comunque affezionati al maggioritario, sia pure “all’acqua pazza” com’è quello italiano.

Da ogni partito o schieramento sono “gemmati” altri soggetti che se non sono vere e proprie formazioni autonome molto le assomigliano e si apprestano comunque a diventarlo. Ci vorrebbe una mappa per orientarsi nel dedalo di sigle, gruppi, correnti che si compongono e si scompongono, aggregazioni annunciate e smentite. E’ pur vero che la politica italiana è per definizione caotica, ma oggi è addirittura indecifrabile dagli stessi addetti ai lavori.

Il Pdl è oggettivamente imploso, per quante giustificazioni si possano accampare; il Pd mena una vita assai grama avendo smarrito, credo definitivamente, il suo centro di gravità; l’Udc voleva addirittura fare il “partito della nazione” ed è ben difficile, dopo aver perso i veri portatori di voti, che riesca a tenersi il poco che rimasto nelle mani di Casini; in Sicilia il “governatore” Lombardo vara una giunta (la quarta in due anni) contro i vincitori delle elezioni, mettendo insieme, oltre agli sconfitti, l’inedita accoppiata di finiani e democrats, ma a Roma, però, giura fedeltà a Berlusconi che ha appena espulso dal governo isolano; non c’è regione o provincia in cui non si formino maggioranze “variabili” ed eccentriche rispetto al quadro parlamentare nazionale. La gente non ci capisce più niente. E diventa perfino surreale discutere, in queste condizioni, di una nuova legge elettorale, anche a prescindere dal fatto che non si comprende chi dovrebbe farla ed entro quali tempi.

Diciamola tutta. Questi partiti finti sono nati prescindendo dalle culture politiche dalle quale avrebbero dovuto trarre linfa, non certo per mummificarle, ma per giocarle insieme con altre, dopo averne verificato la compatibilità, al fine di costruire nuove identità. Non è andata così, tanto a sinistra quanto a destra.È mancato l’amalgama, si è detto. O, forse, più semplicemente, non sono riusciti i matrimoni di mera convenienza. Con il risultato che ci sono più partiti oggi, o simil-partiti, rispetto a dieci anni fa, alla faccia della semplificazione. E l’aggravante di una litigiosità mai vista che certo non induce a pensieri sereni. Sembra di contemplare un dipinto di Hyeronimus Bosch, caotico e disperato. Come finirà? Soprattutto, quando finirà? Abbiamo l’impressione che il viaggio nel nulla sia appena incominciato.