La democrazia due volte stanca: il mercato la svaluta, la gente la svende

di Mino Fuccillo
Pubblicato il 10 Agosto 2011 - 16:00 OLTRE 6 MESI FA

ROMA – La democrazia stanca…e la gente è pronta a metterla sulla bancarella, a fissarle un prezzo basso su un qualsiasi bancone di mercato. La democrazia stanca, stanca due volte. Stanca perché non ce la fa più a reggere il confronto con forze enormemente più grandi, veloci e possenti: l’accumulazione finanziaria pari sul pianeta ad otto volte quanto il mondo produce di materiale ricchezza. Le democrazia non tiene più le redini dei mercati finanziari, a fatica riesce a restarne aggrappata alla coda. Non può domarli, sta per esserne disarcionata. E stanca la democrazia perché ha “stancato”, sta perdendo la battaglia dei “cuori e delle menti”: gli elettorati e le pubbliche opinioni non fiancheggiano e non sostengono più i governi democratici, esigono da loro il possibile e soprattutto l’impossibile. La gente, la gente dell’Occidente scava il terreno sotto l’albero delle democrazie, ne svelle le radici mentre l’albero è piegato dall’uragano della finanza. Ciò per cui americani ed europei sei o sette decenni fa decisero valesse la pena di morire è oggi sentito da americani ed europei come accessorio, orpello per cui vale appena la pena di votare. “E’ la crisi peggiore dalla seconda guerra mondiale” ha detto Trichet a nome della Bce. Stiamo vivendo qualcosa che rischia di essere “peggiore della crisi del 1929”: lo dicono i governi e gli economisti dell’intero mondo occidentale. Ma il mondo occidentale non corre a rifugiarsi e a barricare la casa della democrazia, ne piccona le mura e, forse presto, anche le fondamenta.

Il peggio dalla guerra in poi e forse peggio del ’29 quando a milioni letteralmente morivano di povertà. Eppure in un singolo comune giorno di un comune cittadino si può nutrire la sensazione che nulla stia davvero accadendo. Ogni giorno scorre più o meno come prima per ciascuno di noi. E’ l’effetto della prospettiva schiacciata da cui i contemporanei possono vedere la storia, la vedono piatta e non può essere altrimenti. I contemporanei nella stragrande maggioranza non vedono mai quel che pure scorre sotto i loro piedi. E quel che sta “scorrendo” è una fase del capitalismo e della stessa civiltà, quella in cui abbiamo vissuto. Fortunati i cinquanta/sessantenni dell’Occidente che hanno avuto la fortuna di vivere gran parte della loro vita in un segmento di storia in cui crescevano insieme i redditi, i consumi, le liberà, i diritti. Fortunati ad aver visto le prolifiche nozze tra il modello di produzione capitalistico e la democrazia parlamentare e delegata. Lo sviluppo e al buona salute dell’uno alimentava l’altra e viceversa. Questo nesso si è spezzato, è spezzato proprio sotto i nostri piedi. Ciò che ci era economicamente garantito non lo è più: gli alti consumi degli americani, la sicurezza sociale degli europei. Non è più garantito e le democrazie non riescono più ad esserne garanti. Perciò la gente, la gente d’Occidente, sbanda e comincia a caricare sotto l’effetto della paura. Paura che induce e stimola un riflesso predatorio: in fondo lo stesso che muove il saccheggiatore di Londra, il renitente alle tasse e alle regole in Italia, l’indignato di Atene, il Tea Party negli Usa.

Comincia a chiamarla la “Grande Contrazione”: il mondo che abbiamo conosciuto si contrae e ne schizzano fuori sotto pressione geyser di “rifiuto”. “La crisi è vostra e non la paghiamo”: gridano tutti che la crisi è “vostra”. Vostra di chi? Ad ogni ulteriore passo della Grande Contrazione che nessun leader, Parlamento, Congresso, Presidente, governo può impedire ci saranno scontri. Scontri di piazza, di ceto, di interessi, di gruppi. La Grande Contrazione sta spostando la crisi dalla finanza alla società. Arriverà la crisi sociale. E non è solo questione di violenza. Violenti talvolta erano gli scontri per il salario, il posto di lavoro, per i diritti…Ma si sapeva a chi chiederli e lo scontro, anche violento, avveniva dentro una “fisica” sociale le cui leggi prevedevano un risultato, un esito dello scontro. La democrazia era il ring dello scontro sociale, lo spazio e i confini cui tutti tenevano anche quando tra loro si battevano. Poteva essere così perché la questione era di equilibrio redistributivo di risorse crescenti o comunque non declinanti. Togli questa condizione e togli alla democrazia l’aria con cui respira. E’ già accaduto altre volte nella storia: quando una comunità deve assistere e subire una contrazione dei livelli della sua qualità della vita, allora la reazione è quella della carica cieca della mandria dei mansueti. L’ultima volta in Europa, all’inizio del secolo scorso, finì, sfociò nelle dittature: la brava e normale gente corse di sua volontà nel recinto delle dittature fidando che queste le avrebbero esentate dalla “Contrazione”.

Non è un destino segnato, non almeno nelle stesse forme, nelle stesse tragiche forme. Ma quel che è certo, anzi già visibile, è che le democrazie non ce la fanno più. Se i sistemi e i governi democratici salvano i rispettivi paesi dalla bancarotta, allora perdono le elezioni. Se vogliono il consenso elettorale devono “perdere” il paese e viceversa. Ci stiamo dentro, è questo il nostro tempo che è cominciato: non è Cassandra che annuncia sventura, inascoltata anche se aveva ragione. E’ il cavallo che è già dentro le mura e noi siano i troiani che stanno ancora dormendo pensando sia una notte qualsiasi mentre invece è l’ultima notte del tempo che c’era. Potremmo ancora evitare l’incendio e la rovina della “Città”, certo che possiamo ancora farlo. Ma dov’è e chi davvero vuole una politica, un governo, un leader che ci obblighi a subire in maniera solidale la Contrazione e ad uscirne domani tutti insieme smagriti ma vivi?