Licenziamenti e Cassa statali già leggi: 1966 e 2001. Governo ok al 38%

di Riccardo Galli
Pubblicato il 28 Ottobre 2011 - 16:36 OLTRE 6 MESI FA

La lettera di Berlusconi alla Ue

ROMA –Tasso di fattibilità media: 38 per cento. E’ questa la percentuale, un po’ disperante assegnata al nuovo programma in otto mesi di governo destinato a far durare il governo diciotto di mesi. Quindi al 62 per cento non si può fare o non si farà. Ma anche due sorprese e di quelle grosse: due delle cose che il governo vuole fare sarebbero in realtà già “fatte”, addirittura già leggi. Il licenziamento per motivi economici è in realtà già legge dal lontano 1966. Ma non si fa, per ottimi o nobili e meno ottimi e nobili motivi. E La Cassa Integrazione per i dipendenti statali è stata introdotta nel 2001, c’è ma non si applica di fatto per comprensibili ma non sempre inattaccabili motivi e abitudini. E’ davvero un singolare paese quello che stende un piano di auto salvezza e firma impegni con l’Europa attuabile al 38 per cento e quello che dimentica per decenni, per sana opportunità o semplicemente per calcolo opportunistico le leggi che si è dato.

Il premier Silvio Berlusconi ha consegnato i compiti che l’Europa gli aveva assegnato. Si è presentato a Bruxelles con la sua brava letterina che è stata giudicata “molto buona” da chi gliela aveva chiesta. Ma la lettera redatta dal nostro Governo è una lettera di praticabili intenti o più una lista di buoni propositi come quella che si fa per l’anno nuovo? Ai posteri l’ardua sentenza si potrebbe dire, ma non ci sarà bisogno di aspettare tanto per sapere se quell’inchiostro si trasformerà in realtà o se, al contrario, rimarrà su carta.

I tempi, laddove indicati, sono infatti molto brevi, e quindi l’arcano sarà presto svelato. Nell’attesa il Corriere della Sera si “diverte” a fare un pronostico assegnando percentuali di fattibilità agli impegni presentati. Il risultato fa somigliare la lettera all’elenco delle buone intenzioni che verranno, perlopiù, disattese. Il tasso di fattibilità medio è stimato al 38%, cioè c’è poco più di una possibilità su tre che le riforme promesse siano fatte. E questo, nonostante, due dei punti promessi a Bruxelles, cioè licenziamenti per ragioni economiche e cassa integrazione più mobilità per gli statali, siano in realtà riforme già fatte e introdotte, ma inapplicate.

Licenziamenti, pubblico impiego, fisco, scuola e privatizzazioni. La lettera italiana all’Europa promette riforme praticamente in tutti i campi più importanti del “vivere sociale”, e le promette in termini brevi, anzi brevissimi, mesi per esser varate e pochi anni per entrare a regime. Già questo basterebbe a far dubitare in generale della credibilità di simili promesse in un paese dove, per cambiare qualcosa, anche minima, di solito servono tempi biblici. Ma il beneficio del dubbio si concede a tutti e, questa volta, a pressare perché le riforme si facciano c’è un motivo forte: o si fanno o si rischia “il botto”.

“Entro maggio 2012 una nuova regolazione dei licenziamenti per motivi economici nei contratti di lavoro a tempo indeterminato”. A questa promessa il tasso di fattibilità assegnato è bassissimo, appena il 25%. Sindacati di nuovo uniti e opposizioni varie rappresentano infatti un fuoco di sbarramento difficile da superare. In realtà una legge in questo senso già esiste, da 55 anni, ma è lettera morta. Il licenziamento per motivi economici è infatti già possibile per i licenziamenti collettivi – ad esempio un’azienda che chiude – ma anche individuali, nella fattispecie del giustificato motivo oggettivo, previsto dalla legge 604 del 1966, per “ragioni inerenti all’attività produttiva, all’organizzazione del lavoro e al regolare funzionamento di essa”.

Nella realtà, però, è molto difficile procedere perché spetta al datore di lavoro l’onere della prova, cioè dimostrare che il licenziamento è per motivi economici e non per altre ragioni. Se il giudice non si convince, concluderà che manca il giustificato motivo e, ai sensi dell’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori, ordinerà all’azienda il reintegro nel posto di lavoro. Non servirebbe quindi una vera e propria riforma, basterebbe applicare una legge esistente fornendo, al massimo, qualche semplificazione.

“Renderemo effettivi con meccanismi cogenti-sanzionatori: la mobilità obbligatoria del personale, la Cassa integrazione guadagni, il superamento delle dotazioni organiche”. Anche in questo caso la legge già c’è, anche se da meno tempo, da “appena” dieci anni. La licenziabilità dei dipendenti pubblici esiste e ha persino un suo nome ad hoc: disponibilità, ma non viene applicata. Introdotta nel 2001 prevede che il dipendente che non sia possibile impiegare diversamente o che non abbia accettato altra ricollocazione, venga messo in “disponibilità” con l’80% dello stipendio per un massimo di 24 mesi, al termine dei quali il rapporto s’intende definitivamente risolto.

Ed esiste anche la mobilità obbligatoria che consente alle amministrazioni di spostare territorialmente i dipendenti. Oltretutto la manovra di agosto ne ha persino inasprito i termini consentendo i trasferimenti all’interno delle stessa regione senza minimi di chilometraggio, e persino tra regioni differenti. Il Governo in questo caso si è impegnato a facilitare l’applicazione di queste norme attraverso sanzioni, e all’introduzione di un ulteriore norma che porterà al “superamento della dotazione organica”, renderà cioè più facile dire che Tizio in quel dato uffici non serve. Ma il Governo in questo caso non ha specificato i tempi, e quindi tasso di fattibilità alto: 50%.