Italia e Grecia: governi che si squagliano vs governi d’emergenza

Il presidente italiano Napolitano e quello greco Papoulias: sulle loro spalle la responsabilità di nominare governi di emergenza (foto Lapresse)

ROMA – Italia e Grecia affronteranno la tempesta della crisi con due governi d’emergenza, di “salvezza nazionale” e non solo più semplicemente “tecnici”.

A Roma il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, dopo due giorni di infruttuosi incontri con partiti di maggioranza e di opposizione, aspetta solo un segnale dal Parlamento per “esonerare” Silvio Berlusconi.

Ad Atene George Papandreou ha voluto scavarsi la fossa con l’idea di mettere a referendum l’accordo con la Ue per salvare la Grecia, salvo poi fare un mezzo dietrofront e dichiarare che il voto sarà “solo” su restare o meno nell’euro. Risultato: aiuti dell’Europa sospesi fino al 4 dicembre (data fissata per il referendum) e tutti a fare terra bruciata intorno al premier greco: i suoi ministri, la sua maggioranza, i partner europei. Appare sempre più probabile la nomina di un governo scelto dal presidente Karolos Papoulias che porti i greci a elezioni anticipate dopo Natale.

Ora, se questo è il piano inclinato in cui si sono messi gli eventi, resta tutto da capire quando Berlusconi e Papandreou “rotoleranno”.

In Italia Berlusconi continua a dire di essere l’unico capo di governo possibile, ma continua a riuscirgli impossibile governare. Napolitano si comporta come se la crisi di governo fosse ufficiale ma non può ufficializzarla, anche perché né la maggioranza né l’opposizione lo aiutano a trovare soluzioni alternative. Il Pdl, a dispetto dell’aumento dei dissidenti interni, vuole solo Berlusconi. La Lega è tornata a parlare di elezioni come unica alternativa a questo premier. Elezioni che restano la migliore via d’uscita anche per l’Idv di Di Pietro (peraltro l’unico non ricevuto da Napolitano). Mentre il Terzo Polo di Casini & co. e il Pd di Bersani si dicono pronti a sostenere un governo di transizione ma non a votare leggi anti crisi sfornate dall’attuale esecutivo.

Napolitano sa che le orecchie dei mercati sono in ascolto e non sono benevole, allora fa sapere che aspetta di vedere cosa fa il Parlamento prima di prendere decisioni. Poi, senza neanche una punta d’ironia, dichiara: ”Credo di poter dire ai nostri partner europei, agli osservatori internazionali, e al mondo degli investitori finanziari, che le forze politiche fondamentali, sia di maggioranza sia di opposizione, sono consapevoli della portata dei problemi che l’Italia deve affrontare con urgenza e attraverso sforzi coerenti e costanti nel tempo. Gli obiettivi sono seriamente riconosciuti come impegnativi dal più ampio arco delle parti politiche e sociali”.

In Grecia non stanno messi meglio, senza soldi e presto senza governo. Papandreou, dopo un paio d’anni passati a varare – lui di sinistra – misure lacrime e sangue per tutti i greci e a fronteggiare una violenta opposizione interna e uno scetticismo internazionale che non si è mai diradato, ha fiutato l’aria e ha deciso di buttarsi anche lui nel sirtaki della crisi politica, dopo aver ballato a lungo quello della crisi economica. Ha deciso di chiedere ai greci un sì tramite referendum all’accordo con l’Europa perché forse già sapeva che non gli avrebbe detto sì neanche il Parlamento (che domani vota la fiducia all’intesa salva-Grecia con la Ue). Poi ha fatto mezza marcia indietro, incalzato da Nicolas Sarkozy e Angela Merkel, annunciando che il referendum sarà solo sul sì o no a restare nell’euro e non sull’accordo con la Ue. Ora perde pezzi di governo e di maggioranza e tutti attendono le dimissioni che ha detto di non voler rassegnare, dopo aver dato però l’ok a un esecutivo di transizione.

Intanto a Bruxelles, a Parigi, a Berlino, a Cannes, già pensano a un euro senza la Grecia e insistono per un’Italia senza Berlusconi.

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