La New York “rossa” di Bill de Blasio, tra populismo e uguaglianza

di Redazione Blitz
Pubblicato il 7 Novembre 2013 - 11:30 OLTRE 6 MESI FA
La New York "rossa" di Bill de Blasio, tra populismo e uguaglianza

La New York “rossa” di Bill de Blasio, tra populismo e uguaglianza (in primo piano con la famiglia)

ROMA – La New York “rossa” di Bill de Blasio, tra populismo e uguaglianza. Che lezioni può ricevere l’elettore italiano dalla clamorosa affermazione a sindaco di New York dell’italo-americano Bill de Blasio? L’annuncio di una amministrazione “progressista e diversa”, lo slogan “non lasceremo indietro nessuno”, qualificano il neo sindaco come un “populista” di sinistra, l’anima liberal di un outsider (prima delle primarie democratiche era dato buon ultimo) che solo la proverbiale dinamicità della Grande Mela poteva sostenere con uno schiacciante 74% dei suffragi.

Bisogna mettersi d’accordo, però, almeno su un paio di concetti e categorie politiche affatto differenti tra le due sponde dell’Atlantico. Perché, per esempio, “populista” in America non è un insulto o comunque una tara come in Europa. E farebbe chi, come Vendola, ha già inalberato il vessillo de Blasio contro una sinistra riformista stile Tony Blair, leggi Renzi. Ma qual è la differenza di un de Blasio con i populisti di casa nostra, da Berlusconi a Grillo, fino a una Marine Le Pen in Francia? Stefano Folli sul Sole 24 Ore propone una distinzione storica.

Il populismo “buono” di De Blasio è figlio dell’ottimismo americano, ma anche della ripresa dell’economia oltreoceano. Il populismo “cattivo”, diciamo così, del vecchio continente è invece figlio della paura e dell’incertezza. Il primo appartiene a una illustre storia politica di cui l’espressione più alta fu il Roosevelt della Grande Depressione; il secondo ha scandito la vicenda del Novecento e ha alimentato quasi tutte le spinte autoritarie, a cominciare dal nostro fascismo. (Stefano Folli, Sole 24 Ore)

Non va dimenticato che anche a New York, e in misura più considerevole, l’astensione è il primo partito: su 4,3 milioni di aventi diritto, hanno votato poco più di un milione. Tuttavia, per dire dell’ottimismo e della dinamicità americani, solo tre mesi fa, alla presentazione dei candidati per le primarie, due newyorchesi su 10 conoscevano il nome del futuro sindaco: poi, il plebiscito di tre voti su 4. Merito, rileva Vittorio Zucconi, di un sistema elettorale drasticamente maggioritario che “non imbriglia, ma intercetta, addirittura impone il cambiamento”. Cambiamento, appunto, è la parola chiave per comprendere l’ottimismo e la fiducia che consentono a un italo-americano con moglie black e figli meticci, che ha studiato anche a Mosca e sosteneva la causa sandinista in Nicaragua, di sedere sulla poltrona di sindaco della città più importante del mondo.

Governare New York è come governare un mondo, se non il mondo. Non esiste problema che non si riversi su questa città delle città e de Blasio rappresenta oggi tutto quello che i newyorkesi vorrebbero essere e quello che vogliono sentirsi dire da chi li dovrà guidare. È il prodotto di una multietnicità, di un meticciato, che è la sostanza, la natura stessa di New York, non una debolezza. È il democratico classico, vintage, di sinistra, che vuole più eguaglianza, più giustizia per i dimenticati e per gli ultimi, dunque più distribuzione della ricchezza raggrumata nei castelli del potere finanziario a Times Square e nelle rocche di Park Avenue e della East Side. (Vittorio Zucconi, La Repubblica)