Il Fatto: “Renato Schifani, da eroe del lodo a schifoso ‘uomo d’onore'”

di Redazione Blitz
Pubblicato il 29 Novembre 2013 - 10:50 OLTRE 6 MESI FA

schifaniROMA – Renato Schifani deve a Berlusconi la propria ascesa in politica dalla Sicilia alla presidenza del Senato. Ora, per i suoi, è diventato un traditore.

Scrive Antonello Caporale sul Fatto Quotidiano:

Tra le cose più straordinarie che Silvio Berlusconi ha prodotto si annovera, senza alcun dubbio, Renato Schifani. Siciliano autoctono, naturalmente avvocato, naturalmente moderato, ha vissuto due vite parallele e antagoniste. La prima, legata al riporto, stupenda opera tricologica da parete a parete del cranio, una fodera di capelli orizzontali e sovrapposti come fuscelli di canna, lo consegna nelle braccia di Silvio, il suo Dio. Vero, di lui ha detto che assomiglia a “Cavour”, volendo però, con questi toni bassi, confermare lo spirito riflessivo, l’amore per la ponderazione, la prudenza.

Infatti il richiamo a Cavour induce Berlusconi a ritirare temporaneamente la pregiudiziale sul riporto. Prima lo nomina capogruppo poi, addirittura presidente del Senato. Sia qui che là Schifani dà il meglio di sé, fortificando i suoi studi sui parametri sospensivi della vita terrena. Egli analizza come un uomo di Stato, fosse proprio Cavour o il suo vice, cioè Berlusconi, abbia bisogno, durante l’espletamento dei suoi altissimi servigi di essere posto al riparo da incursioni malandrine della giustizia politicizzata. Spunta così (e negli annali della storia d’Italia resterà traccia) il suo lodo: le più alte cariche sono extra di nome e di fatto, non sottoponibili a nessuna inchiesta. La Corte costituzionale con un cavillo sega il pilastro del pensiero schifaniano, giudicando illegittima la sua creatura. Da lì è nata la seconda vita di Renato. Accogliendo (noi pensiamo con dolore) l’estremo invito di Silvio di abbattere il riporto, Schifani in effetti rivela la dimensione della comunione col suo leader (…)

Uomo di Stato, ha sempre partecipato alla vita pubblica. Indimenticabili i suoi affacci al Tg1 al mattino e alla sera, con e senza riporto. Le famiglie italiane (lui è cattolico e tiene alla famiglia) lo ricordano con commozione. Procede per sbalzi lessicali e chiude il pensiero nelle seicento parole del vocabolario politico televisivo. Se è bel tempo: bisogna confrontarsi con tutti, siamo moderati e costruttivi. Se è cattivo: non permetteremo che il nostro leader venga infangato.

Accadde anche, in un serrato dibattito a una festa del Popolo della libertà, che Augusto Minzolini, oggi suo collega, lo incalzasse: secondo lei c’è libertà di stampa? Lui: “Venendo qui ho incontrato dei giornalisti. Avevano deciso loro quali domande farmi”, così confermandosi liberale fino al midollo. E da liberale cavourriano ha sempre incentrato la sua battaglia politica. In luglio, per fermare la storia agli ultimi mesi, ha contestato aspramente il diniego del Pd di eleggere Daniela Santanchè vicepresidente della Camera. “Qui si vìola l’etica della politica”. In settembre ha annunciato, urbi et orbi, le dimissioni in massa dal Parlamento dei seguaci di Silvio. Poi è scomparso qualche giorno e ha affrontato, con la consueta moderazione, la delicata fase di transizione che il centrodestra stava vivendo. Moderando e ponderando ha compreso che con “gli estremismi” non si sarebbe andati lontano. E ha scoperto che Silvio, mancando lui come consigliere alla riflessione, si era circondato di gente come la Santanchè, quella dell’etica. Perciò, con strazio vivo e drammatico, ha preso la decisione fatale e finale: un ricollegamento funzionale con Angelino Alfano (…)