L’Eni, l’Italia e il petrolio, Descalzi: “Torniamo in Iran. Restiamo in Libia e in Russia”

di Redazione Blitz
Pubblicato il 21 Maggio 2015 - 10:52 OLTRE 6 MESI FA
Claudio Descalzi (foto Ansa)

Claudio Descalzi (foto Ansa)

ROMA – “Sono andato a Teheran – spiega, intervistato da Repubblica, l’amministratore delegato dell’Eni Claudio Descalzi – due settimane fa, primo amministratore delegato di un gruppo petrolifero, per sbloccare i nostri crediti commerciali (circa 800 milioni di euro, ndr). Abbiamo lavorato duramente durante l’embargo per arrivare a questo risultato, e nel bilancio 2015 dovremmo trasformare quel contenzioso in barili, che faranno parte ufficiale della nostra produzione”.

Se si chiude la partita delle sanzioni l’Iran torna sul mercato del petrolio. Ma i suoi contratti di sfruttamento di tipo buy back penalizzano le compagnie straniere. Come procede la preparazione dei nuovi contratti?
«Loro hanno voglia di collaborare e uscire da questa situazione. Vediamo se e come saranno tolte le sanzioni: è evidente che il Paese può riprendere ad attrarre investimenti se fa cassa col petrolio. A mio avviso entro fine anno Teheran potrebbe proporre una nuova forma di contratti, più simile agli standard internazionali e meno penalizzante per gli operatori e le major petrolifere. Se Teheran fa questo passo, e credo che ne abbia l’interesse, potrebbe essere la svolta ».
Il ritorno dell’Iran permetterebbe di bilanciare altri fronti potenzialmente fragili e rischiosi, tra cui soprattutto la Libia. Proprio due giorni fa il Pentagono ha ammesso che in Libia l’Is ha ormai una presenza operativa, un hub da cui pianificare attacchi in Europa e Africa. Fino a quando riuscirete a mantenere, unici al mondo, la produzione?
«Siamo in Libia e intendiamo restarci, nonostante le minacce del terrorismo. Le nostre piattaforme offshore sono a 120 chilometri dalla costa, e per quegli impianti non abbiamo timori sulla sicurezza. Diverso è il caso delle infrastrutture che abbiamo a terra. Il pozzo di Abu-Attifel è chiuso da un anno e mezzo, gli altri invece lavorano. Per ogni struttura abbiamo aumentato però gli standard di protezione e predisposto un piano di fuga del personale».
Ora però la Ue e l’Onu pensano ad azioni mirate a frenare gli scafisti libici, con possibili interventi militari. Qual è il ruolo che deve giocare il governo Renzi?
«Speriamo che questo non complichi la situazione. Io credo che l’Italia debba insistere nel perseguire una soluzione negoziale e diplomatica e continuare, come fa da un anno, a favorire il dialogo interno alle fazioni, per giungere ad un governo di unità nazionale. Al netto della presenza terrorista, la Libia è un paese unificato da 80 anni. Purtroppo questa situazione è nata da una forzatura esterna, e non certo dal popolo libico. Ora dobbiamo trovare nuove soluzioni diplomatiche. E l’Italia, sul fronte politico e su quello dei migranti, deve essere aiutata dall’Europa».
Anche la Russia è ormai un mercato instabile per l’Eni.
«Anche se in Europa il mercato spot del gas è cresciuto molto, per noi il gas russo resta al momento insostituibile, anche perché potenzialmente è il meno caro di tutti. Sul petrolio russo invece siamo fermi a causa delle sanzioni. Per Putin è chiaro che l’Europa non può fare a meno del gas russo, che potenzialmente è il meno caro di tutti: ma anche che anche la Russia non può fare a meno dei contratti europei».
Nel frattempo l’Italia paga il gas russo di Gazprom un prezzo di circa il 10% più alto di quanto paga la Germania. È un affare o un costo marciare divisi in Europa?
«L’Europa ha bisogno di un vero mercato dell’energia, perché produce appena il 35% di quello che consuma. Oggi abbiamo 28 mercati separati, senza una cornice unica, senza infrastrutture interconnesse. Ad esempio le condotte che portano il gas in entrata in Italia non sono attrezzate per il tracciato inverso, e così due possibili esportatori come Italia e Spagna sono isolati dal resto d’Europa. Questo porta a costi dell’energia sempre più alti. E apre inoltre le porte ai combustibili più economici come il carbone. Che però è il più inquinante. Il governo italiano sta facendo moltissimo per l’unione energetica, Roma si è mossa molto sulla diversificazione delle fonti, l’interconnessione dei tubi e l’unificazione del sistema regolatorio. L’obiettivo, oltre a far pagare meno l’energia, è quello di ridurre le emissioni, anche con una nuova tassazione sulle materie più inquinanti, e con la chiusura coatta delle centrali che non soddisfano certe performance. Ci vuole però una pressione su Usa e Cina, perché l’Europa da sola vale il 10% delle emissioni mondiali di Co2».
Il barile di petrolio intanto dopo aver toccato minimi storici, sta iniziando una progressiva risalita. Ed il prezzo sembra tornato a una notevole volatilità. Siete preoccupati?
«Sul mercato si è chiusa una stagione, quella nella quale l’Opec era il dominus solitario. Con lo shale oil ricavato da una moltitudine di produttori indipendenti americani il petrolio ha trovato un nuovo protagonista: 80mila pozzi nel mondo, 39mila di shale oil. Questa nuova produzione ha rappresentato nel 2014 3,5 milioni di barili al giorno, un milione di barili al giorno in più rispetto al 2013, ha cambiato il mercato e il potere dell’Opec di fare i prezzi. Adesso qualcuno dice che i produttori indipendenti stanno per saltare, oppressi da 80 miliardi di dollari di debiti. Ma si sottovaluta la capacità americana di rinnovare le tecnologie e di renderle più economiche e più competitive».
Quindi prevede un nuovo aumento dei prezzi?
«Io non credo ai cartelli, penso che il mercato si regolerà da solo. La domanda però sta salendo, e la produzione non la segue, perché ci sono tagli negli investimenti. Negli Usa i pozzi sono scesi da 1.600 a 600. Per questi motivi il prezzo del greggio è risalito: io prevedo movimenti di rialzo e ribasso rapidi, una sorta di curva a W».
In Italia c’è spazio per gli idrocarburi shale , estratti dagli scisti rocciosi?
«Non ci sono le condizioni geografiche. Però possiamo andare avanti sulle esplorazioni tradizionali».
Ma lo sblocca-Italia vi darà la possibilità di usare le trivelle ovunque?
«La legge adesso semplifica tempi e procedure, che prima erano da tre a quattro volte superiori alla media mondiale. Operiamo in Basilicata e in Sicilia, dove abbiamo progetti lontani dalle coste. Non c’è rischio di impatto ambientale» Di Eni recentemente si è occupata anche la magistratura, con accuse di tangenti e corruzione in Algeria e Nigeria. A che punto sono le inchieste giudiziarie?
«La magistratura sta lavorando. Noi abbiamo fatto le nostre verifiche e siamo sereni su entrambi i dossier. Dalle verifiche interne e condotte da studi legali Usa non è emersa per Eni nessuna condotta illecita o corruttiva ».
Può dire lo stesso per la controllata Saipem?
«Su Saipem Eni non aveva il controllo reale delle commesse, essendo una società quotata e separata, benché la finanziamo al 100%. Vedremo se in futuro sarà ancora così».