Rassegna stampa. Monti-Pdl, alta tensione. Schwazer scovato nel camper del doping

Pubblicato il 8 Agosto 2012 - 09:18 OLTRE 6 MESI FA
Il Corriere della Sera dell’8 agosto 2012

Monti-Pdl, giorno di tensione. Il Corriere della Sera: “Il Pdl s’infuria per una frase di Mario Monti sul sito del Wall Street Journal: «Se il governo di prima fosse ancora in carica lo spread sarebbe a 1.200». Il premier telefona a Berlusconi: dispiaciuto.”

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Monti-Berlusconi, caso spread Poi il chiarimento al telefono. L’articolo a firma di Monica Guerzoni:

“Tensione alta a Palazzo Chigi, ore di gravoso imbarazzo. Gli staff dei ministri lasciano filtrare preoccupazione per le esternazioni del premier e la tenuta dell’esecutivo. E l’ufficio stampa, che si trova a fronteggiare assalti dall’interno e dall’estero, prova a bilanciare le critiche sottolineando i riconoscimenti che arrivano dagli Usa. Il sottosegretario al Tesoro Geithner spende parole sulla «credibilità» di cui il professore gode all’estero e incoraggiante è il ritratto che ne fa il «Wsj». Il quotidiano osserva come la sua natura «disciplinata» sia «più tedesca che italiana» e riconosce a Monti, oltre alla sobrietà e all’umorismo british, lo status del capo di Stato che, con maggiore determinazione, ha osato sfidare la Germania. L’affresco — dal titolo «Il lavoro dell’italiano: il premier fa la voce grossa per salvare l’euro» — si apre con un retroscena del Consiglio Ue di fine giugno, quando Monti diede alla cancelliera un «inatteso ultimatum» e la Merkel replicò aspra: «Questo non aiuta, Mario».”

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Il Pdl: provocazione E il governo va sotto Vertice con il Cavaliere. L’articolo a firma di M.Antonietta Calabrò:

“In difesa del premier gli alleati Udc, Pd e Fli. «Non mi sembra — dice il leader centrista Pier Ferdinando Casini — che ci sia nulla da chiarire. È una cosa di cui tutti sono consapevoli: Berlusconi si è dimesso perché era incapace di fronteggiare la crisi che stava per travolgere il Paese». Bersani non commenta e lascia che sia il responsabile economico Stefano Fassina a chiarire la posizione del Pd: «È un dato di fatto che Berlusconi non se ne sia andato per cortesia ma perché l’Italia era a un centimetro dal baratro. Mi stupisce che si stupiscano di una constatazione. Monti ha raccontato solamente la verità nota a tutto il Pdl». Nell’altro ramo del Parlamento, al Senato manca il numero legale per ben quattro volte, causando così la sospensione della seduta. Ma il gruppo Pdl chiarisce che «la polemica con Monti non c’entra».”

Solo 371 sì. Ma la spending review è legge. L’articolo a firma di Melania Di Giacomo:

“Tra assenti, astenuti e voti contrari, i pidiellini che non hanno dato il loro assenso sono stati 84 su 209. E con il governo battuto su un ordine del giorno del Pdl, si diffonde in Transatlantico la voce che in molti stessero pensando a dare un segnale di insofferenza al presidente del Consiglio. Ed è così: sui 479 deputati presenti, 371 votano sì al via libero definitivo.”

Recessione Italia, Pil giù del 2,5%. L’articolo a pagina 6 de Il Corriere della Sera:

“L’Italia, con questi dati, si conferma la pecora nera tra i più importanti Paesi europei e il governo sarà costretto a rivedere tutta la sua filiera di calcoli visto che nel Def di aprile il calo del Pil per il 2012 era stimato a meno 1,2%. La Germania, come del resto tutte le altre economie europee, riduce la sua velocità di crescita ma il tendenziale per il 2012 è fissato a più 1,2%, in Francia a più 0,4%, in Gran Bretagna a meno 0,7% e anche la disastrata Spagna è per ora attestata su una previsione di meno 1,2%.”

Chi ha pagato il conto dell’unità tedesca? L’articolo a firma dell’inviato a Berlino Mara Gergolet:

“Dietro quei «paesaggi fioriti», Kohl mise tutta la sua autorità. E quanto questa decisione — politica, come lui stesso rivendicò — costò cara, ancora oggi si dibatte. Fu Kohl che sfidò la Bundesbank e impose, tra il potentissimo marco e la moneta dell’Est che veniva scambiata al mercato nero 10 a 1, la parità. «Eine Mark ist eine Mark». E se la frase (pare) non la pronunciò mai, le conseguenze furono colossali. Non possiamo, disse Kohl, condannare i cittadini dell’Est alla povertà e all’umiliazione. Il capo della Buba, Karl Otto Pöhl — che voleva un cambio 4 a 1 — si dimise. Il resto arrivò a catena: le fabbriche dell’Est (la regola del 1 a 1 valeva per gli stipendi e le pensioni, per i depositi il cambio era di 2 a 1) finirono fuori mercato, e fallirono. Ci furono effetti comici: nel 1989, l’International Statistical Yearbook indicava per la Germania dell’Est un reddito superiore (10.400) a quello dell’Ovest (10.050 dollari). Al boom iniziale (crescita del +5,7 nel 1990 e +5,1% nel 1991) seguirono anni di stagnazione. Il debito nazionale passò dal 43% dell’89 al 53% del ’94. I costi esplosero, la riunificazione è costata ai tedeschi 1.400 miliardi. Ma la scelta di Kohl, quel cambio 1 a 1, non fu mai rinnegata, e ancora adesso viene vista come la lezione ultima del cancelliere: la politica, e alcuni ideali che può perseguire (la ricomposizione dell’identità tedesca lo fu), vengono prima dell’economia.”

Cessioni, rientro di capitali e Btp più lunghi. Le sei mosse per tagliare il debito pubblico. L’approfondimento di Massimo Mucchetti:

“Per inquadrare la nuova proposta, che è stata inviata al premier Mario Monti e al ministro dell’Economia, Vittorio Grilli, vanno ricordate le due linee in campo al momento. La prima è quella dello stesso Grilli, che aveva prospettato, nell’intervista al Corriere, una serie di cessioni di immobili e partecipazioni dello Stato e degli enti locali per 15-20 miliardi l’anno per 5 anni. Il debito verrebbe così abbattuto, a regime, per 75-100 miliardi e la sua incidenza sul Prodotto interno lordo attuale diminuirebbe di 5-7 punti percentuali. Se a partire dal 2014 l’economia riprendesse a crescere, l’incidenza del debito sul Pil calerebbe ancora un po’. Grilli è attendibile ma potrebbe essere un po’ troppo prudente.”

Il Giornale dell’8 agosto 2012

Monti come frate indovino. Il Giornale: “Il premier perde la testa: «Con Berlusconi spread a 1.200». Poi ritratta, ma dimentica che con lui l’economia è peggiorata. E grazie ai tecnici calo record per la produzione industriale.” L’editoriale a firma di Alessandro Sallusti:

“Invece di attaccarsi a tesi ipotetiche, e in quanto ta­li indimostrabili, Monti dovrebbe dare conto del suo clamoroso insuccesso, che non è un’ipotesi ma una realtà certificata dalle cifre che misurano i parametri economici.Delle quali non una è migliorativa rispet­to all’era Berlusconi. Pil, produzione industriale, en­trate fiscali in forte calo, disoccupazione, fallimenti e debito in forte crescita. Monti è riuscito a fare peggio del suo predecessore anche nella media dello spread, nonostante gli ingenti acquisti di titoli di Sta­to pilotati, direttamente e indirettamente, dalla Ban­ca centrale europea ( aiuto che Berlusconi non aveva chiesto). Senza questa droga che lenisce il dolore ma non cura il male, lo spread di Monti sarebbe sì ben ol­tre i 1200 punti che lui stesso mette, teoricamente, sul conto dell’ex premier.”

Le gaffes? Nervosismo da fine corsa. L’articolo di Roberto Scafuri:

“Per capire allora il motivo delle parole di Monti- tralasciando le battute pidielline su colpo di sole, età, nervosismo eccetera ­può tornare utile il quadro psicologico che ne ha dato ieri Casini, ormai avanguardista montiano al di là di ogni ragionevole dub­bio. «Non è un punching ball , dice le cose co­me stanno». Insomma, al di là della defor­mazione professorale di parlare ex cathe­dra, si aggiunge quel senso misto di orgo­glio e impotenza rintracciabile in tutte le di­chiarazioni del premier. Ho fatto quel che dovevo fare, è il ritornello di Palazzo Chigi, e se i risultati tardano pazienza, perché se non ci fossi io sarebbe stato assai peggio. Ma allora el tacon è peggio del buso , co­me dicono i veneti. Perché la telefonata ri­paratrice a Berlusconi (non è la prima vol­ta) è una pezza che segnala ancora una vol­ta debolezza, umiltà mal dissimulata e lega­ta alla consapevolezza di essere ancora il ca­po di un governo legato a un filo sottilissi­mo. E,pur volendo attribuire al premier ner­vi d’acciaio Krupp, non si può non scorgere la stizza repressa nei confronti del Parla­mento, l’insofferenza che egli manifesta ogni volta che può, come se gli «scappasse il freno», ha osservato la Gelmini. Ma non si può neppure immaginare che essa resti sen­za conseguenze.”

Tagli per statali e sanità. Giro di vite sugli acquisti. Il Messaggero: “Salgono tasse universitarie e addizionali regionali Irpef.” L’articolo a firma di Barbara Corrao:

“Uno sforzo gigantesco che consentirà, intanto, di evitare l’aumento di due punti percentuali dell’Iva, rinviato al luglio 2013. Ma anche di destinare 6 miliardi alle popolazioni dell’Emilia colpite dal sisma e di trovare la copertura per ulteriori 55.000 esodati (in aggiunta ai 65.000 già garantiti) che altrimenti si sarebbero trovati senza stipendio né pensione per effetto della riforma previdenziale di fine 2011. La spending review è un cantiere, hanno detto più volte Mario Monti e Piero Giarda, e questo è solo l’avvio di un percorso che proseguirà a settembre con la «fase 2», concentrata sugli enti locali (ai quali si chiederà conto di 10 miliardi di spese inefficienti), la revisione delle agevolazioni fiscali a famiglie e imprese e il riordino dei trasferimenti alle aziende. Lo spettro dell’Iva infatti non è scongiurato e nel 2013 costerà 6,5 miliardi.”

D’Alema: «Basta tecnocrazia in Europa e alleanze dopo il voto». L’intervista a firma di Stefano Cappellini:

“Come si può conciliare la rivendicazione del sostegno al governo Monti con il messaggio di una svolta necessaria? «Stiamo lavorando per costruire un asse di governo che garantisca la continuità giusta con questo esecutivo sul piano della credibilità internazionale, del rigore finanziario e della coerenza con le scelte e con gli accordi sottoscritti in sede europea. L’attuale è un governo di compromesso e di emergenza e non possiamo chiedergli di imprimere una svolta a sinistra. D’altra parte, se questo fosse il nostro governo non avrebbe il voto di Berlusconi. La svolta la dobbiamo imprimere noi, con il nostro impegno per il nuovo corso europeo, con le proposte di giustizia sociale, che mettano al centro la dignità e la remunerazione del lavoro a cominciare da una nuova politica fiscale, e il proseguimento della radicale riorganizzazione dell’amministrazione pubblica, correggendo le sovrapposizioni e gli sprechi burocratici di un federalismo che non ha migliorato la vita dei cittadini ma ha moltiplicato i costi».”

La Gazzetta dello Sport dell’8 agosto 2012

Schwazer è l’unico colpevole? Pochi controlli e niente firma. Tutti i buchi dell’antidoping. La Gazzetta dello Sport: “Coni e Fidal hanno ridotto gli esami, zero penali per l’altoatesino che non ha sottoscritto il codice di buona condotta. Gaffe Arese: «Lo aspettiamo a Rio».” L’articolo a firma dell’inviato a Londra Valerio Piccioni:

“Un discorso a parte va fatto per i controlli. Prima di Pechino, gli atleti olimpici si sottoposero ad almeno tre esami (Wada, Coni, federazione internazionale o nazionale non importa). Ora? Certo anche la geografia dei controlli è cambiata. Quelli delle federazioni si sono ridotti sensibilmente (nell’ordine del 20-25 per cento, compreso il calcio, quelli dell’atletica sono poche decine), mentre gli esami del Coni sono rimasti invariati con una maggiore percentuale di controlli a sorpresa, siamo ormai passati dal 10 al 20 per cento del totale, disposti da un apposito comitato. La spiegazione è: ci pensa sempre di più la Wada. Ma anche qui: basta? Intendiamoci: non c’è un Paese del mondo dove le forme di collaborazione con l’Agenzia Mondiale Antidoping, complice la nostra legge 376 e le inchieste della magistratura italiana, sono così forti. Merito anche del Coni, sicuramente lontano dai tempi della reticenza e del laboratorio antidoping porto delle nebbie, anzi l’Acqua Acetosa è fra le prime strutture al mondo per affidabilità (17 chimici e tecnici lavorano al laboratorio di Londra, dove il vicedirettore unico in questi giorni è proprio Francesco Botrè, il capo della struttura di Roma). Ma mentre di fronte ai «casi», il Coni ha dimostrato spesso coraggio e tempestività, nella quotidianità continuano a esserci delle scelte di retroguardia. Per esempio il sostanziale divieto a tutti i medici del Coni di prendere qualsiasi tipo di posizione pubblica.”

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Pepe e Bonucci salvi, 10 mesi a Conte. La Gazzetta dello Sport: “Anticipiamo i verdetti. La Disciplinare non ritiene credibile Andrea Masiello.” L’articolo a firma di Maurizio Galdi:

“Tutto si gioca sulla credibilità che la Disciplinare ha dato alle ammissioni dei diversi pentiti. Sicuramente le dichiarazioni di Filippo Carobbio e Carlo Gervasoni sono attendibilissime (lo hanno già detto Disciplinare e Corte di giustizia federale), quella di Andrea Masiello sono ancora «sotto esame». E anche la magistratura ordinaria non si è fidata tantissimo delle sue dichiarazioni, tanto che è stato arrestato e pure dopo aver fatto dichiarazioni sia a Cremona che a Bari. Le contraddizioni mostrate nelle sue diverse audizioni sono state messe in evidenza dai difensori di Bonucci e Pepe (ma anche da Luciano Malagnini per Salvatore Masiello).”