ROMA – Ariel Sharon in stato vegetativo da sette anni reagisce agli stimoli dei figli. E viene da chiedersi: come è possibile dopo tutto quel tempo in coma, senza mai svegliarsi o dare altri segni? Poco prima di Sharon, lo scorso novembre, fece notizia il caso di un uomo canadese di 39 anni che dopo dodici anni di coma vegetativo fu in grado di rispondere ai medici attraverso una risonanza magnetica.
Scott Rutley (così si chiamava l’uomo canadese) fu il primo caso di paziente in coma vegetativo in grado di comunicare informazioni sul proprio stato di salute attraverso un’avanzata scansione del cervello con la risonanza magnetica funzionale.
Ma le speranze dei figli di Sharon, e di tutti i familiari di persone in coma, sono alimentate da alcuni casi di risvegli inaspettati. Come quello di Massimiliano Tresoldi, calciatore italiano finito in coma dopo un incidente stradale. Ma che dopo nove anni di stato vegetativo si è risvegliato.
In quel caso, ha raccontato la madre di Massimiliano, Lucrezia Povia, la diagnosi dei medici fu agghiacciante: cervelletto tranciato. “E’ un tronco morto”. Ma la madre volle portarlo a casa. E dopo dieci anni, la sera di natale del 2000, Massimiliano si svegliò.
In quel caso il paragone con il caso di Eluana Englaro, in coma dopo un incidente nel 1992, fu immediato. Eluana, per, non si svegliò mai, e dopo diciassette anni di stato vegetativo una battaglia per la “morte degna” fece sì che nel 2009 venisse attuata la sentenza di sospensione dell’idratazione e dell’alimentazione forzata.
Ora il caso di Sharon farà tornare a riflettere favorevoli e contrari a “staccare la spina” che tiene in vita persone in stato vegetativo. Chi muore per primo, il malato o la speranza?