Aids e la “cortina di gomma”: il preservativo che non preserva

Pubblicato il 2 Febbraio 2010 - 15:44 OLTRE 6 MESI FA

Come dermatologo ho avuto modo di occuparmi di AIDS nei bambini allorché, circa 15 anni fa, Mino Damato, il noto giornalista televisivo della RAI-Tv, venne a cercarmi, nel mio reparto di Dermatologia Pediatrica del Policlinico Gemelli di Roma, per invitarmi a visitare i reparti di Pediatria dell’Ospedale Victor Babes di Bucarest in Romania.

È iniziata così una collaborazione intensa, che è durata più di dieci anni, durante i quali io  e i miei più stretti collaboratori ci siamo alternati ripetutamente per garantire il nostro servizio di dermatologia a questi bambini, malati di Aids, e con tante patologie cutanee correlate all’AIDS stesso.

Una volta guariti tali bambini venivano avviati in case famiglie a Singureni, un piccolo villaggio a trenta chilometri da Bucarest, dove vivevano in piccoli gruppi, con un capofamiglia, di solito una suora o una volontaria laica.

In tutti questi anni questa esperienza si è rivelata per me incredibile sul piano professionale e su quello umano, nel senso dell’arricchimento spirituale, in quanto ho incontrato la malattia in piccoli corpicini pieni di sofferenza e nel contempo di grande umanità. E in tutto questo tempo è stato poco è niente quello che io ho potuto fare come medico o come persona rispetto a quello che io ho ricevuto in termini di affetto da questi meravigliosi piccoli pazienti, carichi di fierezza e di grande dignità pur nella disgrazia di una malattia ricca per loro di grandi sofferenze.

E visitando l’anno scorso Ouagadougou, la capitale del Burkina Faso (1.600.000 abitanti circa) sono stato colpito, durante le mie visite alle strutture sanitarie ospedaliere esistenti dalle carenze strutturali e funzionali che ruotano attorno a questa malattia nei paesi africani, da qualcuno definita la peste del terzo millennio. Mancano strutture e reparti adeguati, manca il personale addetto, dove spesso la buona volontà sostituisce la competenza e la professionalità, sono carenti le attrezzature e sono esigui ed insufficienti i medicinali (farmaci antiretrovirali) atti a curare questa malattia.

Queste carenze sono in parte mascherate dalla realizzazione di progetti di solidarietà internazionale (vedi il reparto per l’AIDS pediatrico presso l’Ospedale dei Camilliani, costruito e funzionante con 40 posti letto dedicati all’AIDS pediatrico grazie all’aiuto e alla attività costante di medici pediatri italiani provenienti dall’Università di Brescia e per grande merito di uno straordinario sacerdote missionario italiano, P. Salvatore Pignatelli, cha quasi da solo, assieme ad un pugno di volenterosi collaboratori, tra i quali Fr Vincenzo Luise, cura più di mille malati di AIDS.
Tutto ciò mi ha indotto a fare alcune riflessioni sull’AIDS nei paesi sottosviluppati, come quelli africani, sulle modalità di contagio e soprattutto sulle possibilità di prevenirlo.

Il Burkina Faso è uno dei paesi dell’Africa Occidentale più colpiti dalla pandemia HIV-AIDS. Recenti stime indicano infatti che su una popolazione complessiva di circa 14 milioni di abitanti siano almeno 600.000 i pazienti sieropositivi e che ogni anno almeno 40.000 persone muoiano di AIDS.

Ogni anno inoltre vengono segnalati almeno 40.000 nuovi casi di AIDS e di questi circa 10.000 sono bambini, che hanno contratto l’infezione dalla madre durante la gravidanza o al momento del parto o nei primi mesi di vita con l’allattamento al seno.

Nel Marzo di quest’anno sono stato colpito, come medico, da una frase, pronunziata da Sua Santità Benedetto XVI durante una sua visita in Africa. Egli infatti ha affermato con forza che «l’AIDS non si sconfigge distribuendo i preservativi, ma attraverso una educazione sanitaria attenta e puntuale e soprattutto attraverso una educazione alla dignità umana».
Queste parole, dissonanti ed antitetiche a quanto mass media e posizioni governative avevano sino ad allora amplificato, attribuendo all’impiego del profilattico l’unico scudo reale ed efficace per evitare il contagio di tale malattia mi ha indotto ad effettuare alcune rigorose, sul piano scientifico, ricerche bibliografiche sull’argomento e quindi sulla effettiva utilità del preservativo di prevenire la malattia AIDS. E, riassumendo brevemente quanto trovato in letteratura scientifica, sono rimasto impressionato dai seguenti dati.

Innanzitutto occorre dire che il diametro massimo del virus HIV è di circa 0,1 micron, mentre il diametro della testa di uno spermatozoo umano è dell’ordine di 2,5 micron (cioè 25 volte più grande del diametro massimo del virus HIV).

Negli anni ’60, con l’introduzione della pillola anticoncezionale, il preservativo venne quasi del tutto abbandonato, perché ritenuto meno sicuro della pillola stessa. Infatti è stato osservato che in una percentuale variabile dal 13% al 20% il preservativo non riusciva a bloccare tutti gli spermatozoi e quindi si potevano avere dal 13 al 20% di gravidanze indesiderate.

Ma abbiamo appena detto che la testa dello spermatozoo è 25 volte più grande del diametro del virus HIV e da questo deriva che il virus dell’AIDS può attraversare più facilmente, rispetto allo spermatozoo, la parete gommata, la cosiddetta “cortina di gomma”, del preservativo.

Le Aziende produttrici dei profilattici ovviamente esaltano e garantiscono nei loro depliant pubblicitari l’assoluta impenetrabilità della parete del preservativo portando come prova il superamento del “test di permeabilità”. Questo test di permeabilità consiste nel riempire un profilattico con 300 ml di acqua distillata e di tenerlo appeso per qualche ora, verificando che non vi siano perdite. Le molecole dell’acqua sono ovviamente più piccole del virus HIV e pertanto se non passa l’acqua è consequenziale, per le Case produttrici, che non passa nemmeno il virus HIV.

In realtà noi sappiamo che in questi esperimenti (cioè se riempiamo di acqua distillata un preservativo) intervengono anche altri fattori fisici diversi dalla permeabilità, che sono la capillarità e la tensione superficiale. Infatti nel 1990 Davis e Schroeder, due illustri scienziati, hanno condotto un esperimento molto semplice utilizzando il Microscopio Elettronico.

Essi hanno praticato nelle pareti dei profilattici in esame dei forellini larghi circa 1 micron (larghi cioè 10 volte di più del diametro massimo del virus HIV e molto più grandi delle molecole di acqua distillata!), e li hanno successivamente sottoposti al test di permeabilità, che è stato brillantemente superato. Essi però  hanno concluso che pur praticando nelle pareti dei fori più grandi delle molecole di acqua esse, a causa della capillarità e della tensione elastica, non fuoriescono attraverso la parete.

Carey due anni dopo ha condotto un altro interessante esperimento. Egli ha preso dei profilattici nuovi e li ha riempiti di microsferule fluorescenti del diametro di 0,1 micron (cioè grandi quanto il diametro del virus HIV). Li ha sottoposti a stiramenti e traumi, simili a quelli che subiscono durante un atto sessuale, e il risultato è stata una perdita, cioè una fuoriuscita di sferule pari a circa 6.000 sferule al minuto.
Roland, infine, noto ricercatore di Washington, osservando la superficie gommata di un profilattico al Microscopio Elettronico, ha scoperto come essa sia costellata da una miriade di crateri e di canali. I crateri larghi circa 15 micron, sono profondi 30 micron, cioè non attraversano la parete del profilattico a tutto spessore, ma la loro presenza lo rende più vulnerabile ai traumatismi ripetuti di un atto sessuale. I canali invece sono larghi 5 micron (cioè 50 volte più grandi del diametro massimo del virus!) ed attraversano numerosi e a tutto spessore perforandola completamente la parete gommata del preservativo e rendendola pertanto attraversabile dal virus HIV.

Un gruppo di studio europeo infine ha pubblicato sul British Journal of Medicine alcuni dati circa il grado di protezione del profilattico che è risultata intorno al 69% e lo stesso FDC, Ente Americano che controlla la validità dei prodotti farmaceutici, ha inviato una circolare a tutti gli Ospedali degli USA scrivendo che «il preservativo può solo ridurre il rischio di contrarre le malattie veneree e l’AIDS, ma non lo elimina del tutto».

Un’ultima considerazione infine, ma non per questo meno importante.
La possibilità che un preservativo si laceri durante un rapporto sessuale aumenta dal 3% al 6% per i preservativi nuovi sino ad arrivare al 18,6% per quelli più vecchi di qualche anno ed in entrambi i casi questa percentuale aumenta in modo esponenziale con l’aumento della temperatura ambientale.

È in errore quindi sul piano scientifico chi afferma che per combattere l’AIDS in Africa è sufficiente l’uso del preservativo dato che, in molti paesi africani dove l’AIDS è endemico, il clima è sempre caldo torrido e quindi aumenta la possibilità che il profilattico si laceri più facilmente!
Sul piano quindi meramente scientifico possiamo, alla luce di quanto letto, affermare che il preservativo diminuisce del 69% la probabilità di contrarre l’AIDS, ma certamente non la esclude del tutto.
Tutte le altre considerazioni di tipo etico o pratico naturalmente esulano dagli obiettivi scientifici di questo articolo.

*Presidente dell’International Society of Pediatric Dermatology