E’ un ormone che impedisce alle donne di fare carriera

Pubblicato il 21 Febbraio 2009 - 12:01| Aggiornato il 23 Febbraio 2009 OLTRE 6 MESI FA

La tesi è provocatoria e ha già fatto discutere mezzo mondo.

Sostiene, sfidando l’impopolarità, che gli uomini e le donne non sono uguali, e che la “non parità” tra i sessi, in termini di successo, lavoro, carriera e denaro sarebbe figlia di uno “scarto biologico” tra maschi e femmine e non di secolari diseguaglianze storiche e culturali.

Una differenza “ormonale” insita nel cervello per cui le donne sarebbero maggiormente spinte a scegliere strade di vita e di realizzazione sociale che magari le rendono più felici, ma le lasciano immancabilmente fuori dalle stanze del potere.

Il saggio della psicologa canadese Susan Pinker, Il paradosso dei sessi, appena uscito in Italia per Einaudi,  e lanciato all’attenzione del pubblico da Maria Novella De Luca di Repubblica, ha fatto riaprire  il dibattito che sembrava ormai sepolto sulla parità mancata tra universo maschile e universo femminile. Se infatti “il successo nel lavoro rispecchiasse quello scolastico, le donne oggi governerebbero il mondo, perché allora quasi sempre avviene il contrario?”.

Parte da questa domanda Susan Pinker, che nel suo controverso libro, considerato in Usa quasi un manifesto neo-conservatore, cerca di dare una risposta a una delle contraddizioni più forti del tempo presente: le donne hanno ovunque superato i maschi per numero di lauree e rendimento scolastico, hanno scalato professioni come la chirurgia o l’ingegneria, eppure nella maggioranza dei casi si fermano un gradino prima della vetta, o una volta raggiunto il top dicono “ora basta, torno a casa, voglio stare con i miei bambini”.

Scrive la Pinker: “La maggioranza delle donne in Occidente lavora. Ma donne dotate di talento, che godono di ogni libertà e opportunità di scelta, non sembrano intraprendere in ugual numero gli stessi percorsi professionali degli uomini intorno a loro. Anche senza più barriere non si comportano come cloni dei maschi.


Così riallacciandosi ad alcune tesi forti nell’America degli anni Sessanta (poi affossate nell’era del femminismo e del post femminismo), e a certe scoperte delle neuroscienze, la Pinker afferma che buona parte della vita delle donne sarebbe “comandata” da un ormone, l’ossitocina, “che compare durante l’allattamento e il parto, il sesso e gli abbracci e quando si accudiscono i piccoli”.

Un ormone che spingerebbe la donna ad avere maggiore empatia verso gli altri, a capire meglio stati d’animo ed emozioni, ad essere portata verso professioni di “forte impegno sociale”, e soprattutto verso una “pluralità di obiettivi”.

La voglia cioè di coniugare lavoro e famiglia, pubblico e privato, passioni e doveri: appunto quel mix di sentimenti al quale sono molte a non voler più rinunciare, pagando il prezzo magari di una carriera riuscita a metà.

Certo, sembra difficile pensare che sia soltanto “colpa” dell’ossitocina se in Italia le donne guadagnano in media il 9% in meno degli uomini pur a parità di professioni, e l’occupazione femminile si ferma al 46,6% contro il 70,7% di quella maschile.

E’ vero però che laddove è possibile le donne nel lavoro cercano strade alternative, di conciliazione, respingono l’idea di doversi adattare, come unica chance di carriera, al modello maschile.

E infatti ne Il paradosso dei sessi uno dei capitoli più interessanti, “Abbandonate la nave”, raccoglie una serie di storie di donne di successo che a un certo punto hanno scelto “altro”, pur di ritrovare se stesse e i propri affetti.

Un bisogno di tornare a casa già ampiamente studiato, ma che la Pinker lega oggi ad una spinta più neurobiologica che sociale, tesi provocatoria appunto, che ha diviso critici e accademici, ma che invece ha trovato a sorpresa estimatrici proprio tra le donne.

LG