Avvenire: “Il metodo Boffo fu un misfatto, la stampa fu usata in modo violento”

Pubblicato il 29 Agosto 2010 - 18:25 OLTRE 6 MESI FA

Il ”metodo Boffo” consiste ”nell’uso di carte false contro qualcuno”: è quindi ”un misfatto”, perché ”significa usare la stampa per fare del male in modo consapevole e violento. Ricordiamocelo”. Così il direttore di Avvenire, Marco Tarquinio, torna a un anno di distanza sulla vicenda che portò il suo predecessore Dino Boffo alle dimissioni dalla direzione del quotidiano della Cei, dopo le notizie pubblicate dal ‘Giornale’ di Vittorio Feltri.

 Tarquinio oggi mette in guardia contro quello che ormai è codificato come ”metodo Boffo” e contro chi addirittura lo invoca – come avvenuto nel caso dell’ancora aperta querelle Pdl-Fini – come arma per mettere al tappeto avversari politici. Per il direttore di Avvenire, che ne parla rispondendo a un lettore, quella di un anno fa fu ”un’ossessiva aggressione a colpi di grossolane falsità (poi ammesse dallo stesso incauto e feroce accusatore) contro Dino Boffo, grande direttore di giornale e persona specchiata e generosa, che – contro il parere e le insistenze dei suoi collaboratori e del suo editore – decise di protestare dimettendosi e chiedendo, per prima cosa, giustizia al suo e nostro Ordine professionale”.

Tarquinio scrive che quando si parla di ”metodo Boffo” (”e se ne sta parlando troppo e a sproposito”) bisognerebbe essere ”rigorosi e corretti”: ”tenere, cioé, bene a mente che quel cosiddetto ‘metodo’ consiste nell’uso di carte false contro qualcuno”, mentre ”è l’onorevole Stracquadanio che ha cercato, invece, di ‘nobilitarlo’ presentandolo come una legittima campagna per far dimettere una personalita”’.

”Le dimissioni – incalza – sono state, nel caso di Dino, la protesta e il danno di chi ha subito la diffamazione, non certo il successo di chi l’ha sviluppata. Anzi, se le regole della nostra professione hanno ancora senso e forza, so che quelle dimissioni-lezione umana e civile saranno la causa della sconfitta di chi ha violato leggi e deontologia”. Tarquinio afferma che ”un certo modo di fare giornalismo e certi toni” sono ”sbagliati e a volte, persino, insopportabili”. ”Quelli del Giornale diretto da Vittorio Feltri – aggiunge polemicamente – finiscono con impressionante frequenza in queste categorie”.

Tuttavia ”finché ci si limita al cattivo gusto e all’insolenza siamo di fronte, tutto sommato, a un male minore”: per Tarquinio, infatti, ”un anno fa fummo tutti testimoni di ben altro da parte della testata e del direttore appena citati”. E conclude che ”su ognuno di noi cronisti grava il peso del giudizio dei lettori e – se e quando norme e limiti vengono calpestati, come nel caso dell’attacco al mio predecessore – degli altri nostri giudici naturali”. Fu il 28 agosto 2009, che il Giornale, dedicò l’intera prima pagina a un presunto ”incidente sessuale” attribuito a Dino Boffo, direttore di Avvenire’, che nelle settimane precedenti aveva pubblicato interventi critici sulla ”condotta morale” del premier Berlusconi.

Il Giornale, citando atti del Tribunale di Terni riferiti a fatti del 2001, ricordava un patteggiamento di Boffo in un processo per molestie con minacce alla moglie di un uomo con il quale avrebbe avuto una relazione omosessuale. La cosa si era conclusa nel 2004 con il pagamento di un’ammenda di 516 euro. Boffo smentì la ricostruzione del Giornale, ma il 3 settembre Boffo si dimise dalla direzione del quotidiano della Cei.

Il 4 dicembre Feltri scrisse poi in prima pagina che le informazioni sull’ormai ex direttore di Avvenire erano inesatte e che l’atteggiamento ”sobrio e dignitoso” di Boffo ”non può che suscitare ammirazione”. La vicenda chiamò in causa anche possibili tensioni nei rapporti tra Cei e Vaticano: Feltri (che in marzo fu anche sospeso per sei mesi dall’Ordine dei Giornalisti della Lombardia) tra l’altro fece sapere che a dargli le notizie su Boffo era stata ”una persona affidabile del mondo cattolico”.