Sicilia, per Felice Crosta pensione “ridotta” da 41mila a 3.500 euro al mese

Pubblicato il 17 Ottobre 2012 - 11:45 OLTRE 6 MESI FA
Felice Crosta

PALERMO – “Solo” 3.500 euro al mese: Felice Crosta, dirigente dell’agenzia dei rifiuti della Regione siciliana, si dovrà accontentare. Altro che i 41mila euro al mese del 2006.

A ridurre il compenso di Crosta è stata la Corte di Cassazione: dopo l’ultima sentenza sfavorevole del luglio scorso, Crosta ha firmato un accordo in cui si impegnava a restituire a rate quanto incassato indebitamente negli anni passati. Cioè oltre un milione di euro.

Crosta ha già versato un acconto, come riporta l’edizione locale di Repubblica, di 200mila, euro. Il resto della somma lo salderà attraverso una trattenuta in busta paga di 17mila euro per i prossimi cinque anni. Una cifra che comprende anche gli interessi maturati, e già pulita della ritenuta Irpef.

Il pensionato più ricco d’Italia aveva dovuto dire addio nello scorso luglio alla speranza di mantenere la sua pensione da favola. ”Non si tratta di un regalo, io ho lavorato per 45 anni”, ha sempre sostenuto.

Lo stipendio da 460mila euro l’anno (circa 21mila euro netti al mese) anche se percepito per un breve periodo, gli era valso comunque come base pensionabile in forza di una legge che l’Assemblea regionale siciliana aveva varato a fine 2005, proprio alla vigilia della sua nomina.

Dopo la fine del governo presieduto da Totò Cuffaro, la Regione si era opposta alla liquidazione della maxi-pensione, riconoscendo ”solo” 219mila euro annui all’ex dirigente. Crosta si era rivolto alla Corte dei Conti che in primo grado aveva riconosciuto il suo diritto.

Nel dicembre 2011 l’appello aveva ribaltato il verdetto, stabilendo che al manager pubblico dovesse essere riconosciuta una pensione commisurata all’indennità percepita prima del provvedimento dell’assemblea regionale: 227mila euro, somma considerevole ma comunque la metà di quella percepita.

A quel punto la Regione aveva chiesto la restituzione di oltre un milione di euro di arretrati, cominciando con il trattenere a Crosta una piccola quota, pari al quinto dello stipendio. Crosta, dal canto suo, aveva chiesto una rateizzazione del debito.

Nell’attesa si era rivolto alla Cassazione, contestando la composizione del collegio che gli aveva dimezzato l’indennità: ne faceva parte con voto deliberativo – si legge nel ricorso – un referendario non in veste di relatore. Un cavillo. Che avrebbe potuto annullare la sentenza della magistratura contabile e restituire al burocrate il suo maxi-assegno. Fino alla sentenza della Cassazione dei primi di luglio che ha fatto calare il sipario sulla vicenda.