Pomigliano, i dubbi del Lingotto, il silenzio del governo

Pubblicato il 25 Giugno 2010 - 14:24 OLTRE 6 MESI FA

Sergio Marchionne

Settecento milioni di investimenti, 5200 posti di lavoro: è questa la posta in gioco nella sfida Pomigliano-Tychy, o tra sindacati e Fiat, insomma, nella scelta dell’azienda automobilistica tra restare in Polonia o rientrare in Italia.

Ma perché il gioco valga la candela, lo stabilimento  campano Giambattista Vico “deve funzionare come un orologio svizzero”, avverte l’amministratore delegato Sergio Marchionne.

A Tychy produrre una Panda costa 500-600 euro in meno, e, sottolinea Marchionne, “finora l’automobile è stata prodotta bene e a livelli altissimi, a un livello di qualità che non è mai stato raggiunto da uno stabilimento italiano”.

Come però fa notare Sergio Bocconi sul Corriere della Sera, il numero due della casa torinese tiene sicuramente conto del rischio che uno sbilanciamento nei paesi dell’est può innescare in quell’area altre vertenze salariali e politiche.

A due giorni dal referendum con il suo 36 per cento di “no”, in un comunicato di poche righe l’ad del Lingotto sembrerebbe mostrare l’intenzione di scommettere ancora su Pomigliano, con la precisazione che non si tratta di una scelta industriale ma sociale.

Il suo obiettivo resta quello di rendere industrialmente compatibile la scelta di Pomigliano. Anche perché, da Torino fanno sapere di non aver mai sottovalutato o collocato in secondo piano la necessità di salvare cinquemila posti di lavoro. Perciò la Fiat sostiene di essere pronta a trovare, assieme a quelli che hanno firmato l’accordo, una soluzione alternativa.

In questa situazione però i silenzi del governo e in particolare del ministro ad interim delle Attività produttive Berlusconi non sono un buon segnale per i torinesi. I negoziatori del Lingotto che stanno sondando le disponibilità degli ambienti vicini a Palazzo Chigi sono convinti che il governo possa agevolare un accordo in extremis.