GENOVA – Uno a uno la città di fango, acqua, strade e negozi sventrati, linee di comunicazione interrotte, cinghiali morti e gonfiati dall’acqua che i torrenti incazzati hanno portato in mare, topi morti a centinaia, rumenta a tonnellate, questa città, dieci giorni, dopo ingoia uno a uno i suoi leader.
Li inghiotte nel lavandino gigantesco dei suoi torrenti sbucati in mare, dopo avere fatto stragi e miliardi di danni e li sbatte fuori non solo da una presentabilità normale davanti ai cittadini che spalano, imprecano, si rimboccano le maniche o protestano con toni mai sentiti, con una rabbia che non si stempera.
Stanno nascosti nelle loro stanze del potere, con i portoni chiusi come il colonnello Buendia del genio Garcia Marquez di “Cento anni di solitudine”, appaiono solo per tv e non si controllano neppure lì, come il governatore Claudio Burlando, che ha minacciato il cronista di una tv privata, “Primo Canale” con un tono mafioso da brividi: farete una brutta fine e si becca la querela o sbagliano location, come il sindaco Marco Doria.
Lui era stato il più dignitoso ed anche il più coraggioso, dopo la disfatta dell’alluvione; aveva affrontato la gente con quella sua faccia contrita e grave dai geni inconfondibili di antica nobiltà, si era preso gli insulti e le parolacce e pure qualche giudizio in qualche modo di rispetto: “Sindaco di espiazione”, come dire l’ultimo responsabile di una catastrofe lunga decenni che ci mette la faccia e paga.
Ma poi si è fatto trovare nella sera del sabato in uno dei restaurant più chic di Courmayer, la montagna dell’alta borghesia genovese, le “Cadran Solair”, a tavola con la sua famiglia e anche lui non è stato risparmiato e di lui ha preso le difese la moglie, respingendo gli insulti di una signora genovese che gli contestava: Lei sta qua al ristorante e giù a Genova, spalano, contano i danni….si vergogni”. Quanto vana è stata la sua difesa: “Dopo dieci giorni d’inferno mi sono preso una sera di vacanza…”.
Che strano gioco delle coppie questo, che vede i leader genovesi inghiottiti uno a uno dall‘ ultima alluvione! Doria china il capo al restaurant di Courmayeur e gli fa scudo la consorte.
Burlando salta su come una molla contro il giornalista Tv, che fa domande troppo incalzanti alla sua assessora e delfina, Raffella Paita, alla fine di una conferenza stampa tenuta nel fortino di un palazzo, manco fosse il bunker di Hitler.
Lei cerca di rispondere e lui il presidente, che sta girando intorno come un calabrone, perde il lume, anche se poi si scuserà e ammetterà di avere sbagliato la frase, il tono e corre in difesa, una cosa mai vista nei normali rapporti di scontro tra giornalisti e politici.
Intervistavano lei, ma lui, l’uomo esperto da trent’anni di amministrazione del potere, non resiste, non ce la fa più e come un cavaliere in soccorso della sua donzella irrompe durante l’intervista altrui……o altrei?
L’alluvione inghiotte i suoi leader uno ad uno, senza risparmiare nessuno. Era incominciato tre anni fa con Marta Vincenzi, la sindaco travolta dai sei morti del rio Fereggiano, cancellata dalla scena politica, anche al di là delle sue effettive responsabilità, come scrivono oramai tutti in questo terribile revival del 2014, che potrebbe attenuare moralmente le sue colpe, ma che non le scampa il superprocessso alle porte, dove sta per presentarsi con altri cinque imputati, sotto l’accusa di concorso in omicidio colposo plurimo e falso in atto pubblico (avere concorso a spostare l’ora dell’alluvione per spiegare l’insuffficienza degli interventi civici).
Marta, una volta chiamata Super Marta, una delle donne più vivaci della politica genovese, è come cancellata dalla città.
Quando la interpellano si difende con dolore, ha anche scritto un libro insieme con la figlia Malvina, che sta per essere pubblicato per narrare il suo tormento.
Ma è cancellata, inghiottita in quel nulla politico in cui stanno precipitando in tanti e non solo per motivi giudiziari o di anagrafe o di rottamazione.
Claudio Burlando, invece, sta ancora in piedi, ma i suoi giorni sembrano contati, anche se lui aveva previsto un’uscita di scena certo non in questo modo, ma con una passerella di fiori, come presidente del Parco delle Cinque Terre e consigliere comunale di Vernazza, una delle perle di quel paradiso con negli occhi la luce della sua successora, la bella Raffaella Paita, già da un anno scelta come candidata al suo trono, la delfina, l’erede, la continuità di un sistema che invece affonda.
L’uomo che è riuscito a far uscire dalla trasmissione di Santoro Marco Travaglio,
dopo un aspro scontro con lui in diretta, che viene trafitto dalla lancia acuminata di Aldo Grasso,nel corsivo domenicale sul “Corriere della Sera”, l’equivalente alla gogna numero uno, che viene tradito pure da Maurizio Crozza, il comico genovese, suo amico ancorché sampdoriano (Burlando è un genoano doc), non aveva mai avuto una esposizione così forte, una immagine a 360 gradi, che ha sempre sognato da genovese “stundaio”, termine intraducibile, ma ambiziosissimo, anche se non certo in termini negativi, come gli capita in questo letale autunno 2014. Lo cercano tutti, ma per metterlo sotto processo.
L’aveva già rasentata nel 2007 questa overdose di immagine, ma sempre in negativo, se non a tal punto, all’epoca del suo tutt’ora inspiegato “contro mano” automobilistico al casello di Genova-Sestri Ponente, svelato in esclusiva assoluta da “La Repubblica”, pubblicata in prima pagina e considerata la notizia dell’anno per un bel po’, quando, scendendo una domenica mattina dal quartiere in costruzione di Erzelli, sulla collina vicina, imboccò a rovescio il raccordo, dirigendosi verso il centro città, sfiorando le macchine che salivano all’autostrada, fino a farsi fermare da una pattuglia della Polstrada che sbattè i tacchi davanti alla sua tessera (scaduta) di parlamentare, esibita timidamente dal finestrino semiaperto dell’auto, che il presidente stava usando in prestito da un amico fidato.
Gli venne ritirata la patente, anche lì si scusò, vacillò, ma restò ovviamente al suo posto, terminando il suo primo mandato di presidente regionale e preparandosi al secondo senza colpo ferire. Anzi stravincendo le elezioni del 2010, due anni dopo il fatto.
Burlando da dieci giorni appare in ogni schermo televisivo, dove si è affannato a spiegare con la sua prosopopea da eterno detentore del potere pubblico che le colpe di non avere terminato e neppure iniziato le opere pubbliche, che potevano alleviare le alluvioni genovesi erano di altri, dei sindaci dopo di lui, della burocrazia, della giustizia amministrativa, dei ricorsi , delle ditte appaltatrici, del cielo, dei modelli matematici diversi dalla realtà, ma mai sue.
E alla fine questo scaricabarile gli si è girato contro, all’incontrario di come era successo con il contro mano, derubricato poi come una piccola debolezza. Lo scaricabarile ha funzionato come una valanga partita da molto lontano, che forse non si è ancora fermata.
Il premier Matteo Renzi lo ha censurato per quella minaccia ai giornalisti di “Primo Canale”, praticamente togliendogli la fiducia, ma non gli ha chiesto di dimettersi.
Ci mancherebbe questo in una città, in una regione che sono in ginocchio e nelle quali il patatrac alluvionale ha inghiottito per ora non solo i leader, ma anche la politica in senso complessivo.
Congelate le Primarie del centro sinistra, che la regia burlandiana aveva immaginato come una marcia trionfale per la Paita e, invece, sono una catastrofica marea alluvionale, ammutolita la destra, se mai esiste, visto che i suoi leader storici Claudio Scajola e Gigi Grillo, ex parlamentari, ministri, leader del tempo che fu, “giacciono” ambedue agli arresti domiciliari da mesi per gli speculari scandali dell’Expò di Milano e della latitanza di Antonello Matacena, in cui è coinvolto “u ministru” di Imperia, protettore della di lui moglie.
E il resto dei moderati è poca cosa, sotto il comando dell’ex rivale di Burlando il deputato-imprenditore Sandro Biasotti, berlusconiano doc, che da tempo subisce la tattica del Cavaliere di quasi rimozione della prossima consultazione regionale, in attesa di tempi migliori. O di Renzi migliori?
D’altra parte anche Burlando, che in una gag sospesa per pudore su “Il Secolo XIX” veniva soprannomimato Burly, sta per entrare nel semestre bianco e non può neppure dire o pensare, di fronte alle difficoltà dlla sua successione; “après moi le dèluge”, perchè lo lincerebbero.
La città pulisce il fango, vende la merce alluvionata, in una catena di sant’Antonio di mutuo soccorso con tutti che aiutano qualcuno, mentre annaspano i trasporti pubblici e alla Foce del Bisagno, nel grande piazzale della ex Fiera di Genova, si accatastano centinaia di automobili alluvionate e irrecuperabili e……inghiotte i suoi leader, uno a uno e non solo quelli della politica.
Il sindaco Doria, che sembrava uscito appeso per un filo dal fango e dai buchi neri dell’alluvione, ora trema di nuovo perché il tavolo riservato al Cadrain Solaire di Courmayeur viene collegato con la sua improvvida serata a teatro, nella notte della sciagura. Prima l’Opera al teatro “Carlo Felice” e poi i manicaretti valdostani e in mezzo la cittù a ramengo – pensa l’opinione pubblica genovese e ligure, la cui rabbia non è più neppure calcolabile e quindi anche il futuro di Doria, che ha ancora tre anni di mandato, sembra vacillare nella galassia genovese.
La città puzza di morte, se ti apposti alla foce del maledetto Bisagno che ora scorre come un beffardo rigagnolo a fianco del Borgo Incrociati dove l’acqua arrivò a due metri e dove annegò lo sciagurato Antonio Campanella, l’ex infermiere, la cui morte segna per sempre l’alluvione 2014 e aggiunge la sua croce a quelle piantate dal lontanissino 1822 e andate avanti senza soste, con qualche intervallo, mentre la città veniva massacrata.
Puzza di morte, di rumenta che l’altra emergenza genovese, incrociata a quella alluvionale, fa pendere dall’alto in cataste di milioni di metri cubi a Scarpino, una vera montagna di spazzatura, ai piedi della “Madonna della Guardia”, discarica oramai dichiarata chiusa, perché troppo piena come tutte le altre discariche liguri da Sanremo fino a Spezia.
Puzza vera, che rischia di invadere ogni strada genovese, perchéqui non hanno costruito gli scolmatori, i deviatori, non hanno rispettato i comandamenti, che ogni ingegnere idraulico con la testa sul collo raccomanda ai sindaci genovesi da decenni, ma non hanno neppure pensato di risolvere il problema dello smaltimento dei rifiuti, con un termovalorizzatore, un degasificatore, con qualche strumento biodegradabile, con soluzioni che non soffocassero la Liguria, terra di costa e di montagna e spazi stretti, in una discarica pronta a rovinare a valle.
Nei giorni dopo l’alluvione una misura eccezionale ha permesso di portare i rifiuti a Torino, ma cosa pensano ora di invadere la Pianura Padana? Tutti i nodi vengono al pettine in questa terra stretta e avara di spazi. Genova come Napoli, un altro incubo…..
La città ingoia anche i suoi leader nuovi, come il Grillo dell’ennesimo “nemo propheta in patria”, che scende dalla sua elegante magione sulla collina di Sant’Ilario, dove certo le alluvioni non le temono, in sella a un motorino e poi ci torna dopo avere impattato “gli angeli del fango”, che adesso guai a chiamarli cosi.
Chi aveva osato mai contestate il guru comico, il re del “vaffa”? Succede a casa sua e quel motorino, protetto dai guarda spalle, se ne torna rombando in su e incassa il primo ko della sua carriera di agitapiazze.
La città inghiotte tutto e ci vorrebbe forse un nuovo Balilla, alias Giovanni Battista Perasso, il ragazzo genovese del 1700, che lanciò la rivolta contro gli invasori austriaci, per fare scattare una scintilla.
A Genova, la ex Superba, sta naufragando, e chissà se si salva, il galeone del fu ammiraglio Doria. Non sono certo gli annunci dei nuovi milioni di risarcimento o dei provvedimenti sblocca-scolmatori del Fereggiano e sblocca cantieri del Bisagno che Burly, sventola nella macaja genovese a placare gli animi.
Il fatto è che la città piegata e infangata, con il suo mare insozzato dai rifiuti catapultati in mare, sta inghiottendo non solo i leaders, ma la politica in generale. I ragazzi con la pala, che non si fermano più a quella definizione angelica, ma che mostrano altri occhi e altra decisione e che una vecchia icona come l’ottantenne Paolo Villaggio non addomestica più nei talk show con humour da vecchio zeneise incallito e nostalgico, svelano una nuova determinazione che definire pre politica è forse già in ritardo.
Si sommano, queste spinte giovanili non solo a spalare, ma a difendere la propria città, alle altre che rigurgitano dal ventre profondo della città in disfacimento non solo post alluvionale.
Perchè non c’è più nulla che funzioni a valle del crac idrogeologico, dal sistema dei trasporti urbani, a quello dei rifiuti, a quello sanitario.
A quello ferroviario con le stazioni di Brignole e Principe, alluvionate, cantierizzate da anni, in lavori senza fine, a una rete commerciale che conta altre migliaia di ferite.
E non c’è leadership che tenga, altro che fango, non ci sono leader, né guru, né predicatori o autorità morali, teologi veri o preti di strada, capaci di parlare a tutti.
Addio da tempo a don Andrea Gallo, addio a don Antonio Balletto, preti che comunque coagulavano, facevano ragionare i politici insufficienti o deboli. Marco Doria lanciato e protetto da don Gallo, Burlando che aveva la sponda in don Balletto…..
Oggi il cardinale Angelo Bagnasco, risalito nelle valutazioni di Papa Francesco, non può che andare a inzaccherare la sua veste di porpora nel fango di Genova, ma con chi si rapporta, con chi parla in genovese stretto, chiedendo aiuto il signor arcivescovo?
Il sistema della banca di casa, la Caraige è kaputt da un anno, con il presidente ex doge, Giovanni Alberto Berneschi, che circola libero da poche settimane, ma che non può farsi vedere liberamente per le accuse che gli gravano sulle spalle. Anche lui è stato inghiottito e triturato dalla città, prima degli ultimi glu glu.
Gli imprenditori? Dove sono gli imprenditori? La città che inghiotte tutto, nel glu glu dell’alluvione, ha visto la ritirata silenziosa dei Garrone, senza commenti anche dalla Sampdoria, dove domina la figura nomana di Massimo Ferrero, “Er viperetta”, estroverso presidente venuto da Testaccio e oggi forse per la prima volta, dopo tanti show e imitazioni tv, vis a vis con il volto duro della città allagata.
Silenziosi e inguaiati altrove quelli della casta degli armatori, a partire dai potenti Messina: la tragedia della Torre Piloti in porto, dove un loro traghetto si schiantò, causando nove vittime nell’aprile del 2013. è in attesa di un altro degli infiniti processi genovesi.
In osservazione, ma fermo con tutta la sua personalità di stirpe contadina, quindi cauta e calcolatrice, Vittorio Malacalza, che tentò operazioni a Genova, ma non gli trovarono le soluzioni. O, come nel caso della sua possibile presidenza di Confindustria locale, preferirono candidati diversi da lui potentissimo imprenditore e uomo di finanza. Soluzioni che favorivano un equilibro portuale in quell’epoca determinante nella politica e nella giustizia della città.
E gli altri, quelli dello storico establishment genovese che hanno sempre scelto la riservatezza che protegge dai guai? Quelli sobri e silenziosi che accumulano palanche da generazioni, ma nessuno sa quante e frequentano quattro circoli nel centro città e sono sempre meno e, generazione dopo generazione, perdono i geni imprenditoriali e perfino quelli da mercanti?
Estinti gli armatori, si è pure disseccata la vena delle vocazioni a assumere ruoli di rappresentanza ai vertici almeno delle associazioni di categoria, gli industriali, la Camera di Commercio, il vertice dell’Autorità portuale oramai in mano da decenni alla “politica politicante”, a uomini dei partiti, se ancora esistono.
Il presidente degli Industriali è Giuseppe Zampini di Ansaldo Energia, uomo PPSS o Iri, si direbbe come una volta.E viene dopo Giovanni Calvini, giovane imprenditore, di famiglia storica, che importa frutta secca con una azienda, la Ventura, molto florida.
Il presidente della Camera di Commercio è da quindici anni Paolo Odone, di storica famiglia di commercianti (infatti presiede anche l’Ascom), lontano dal business del mare, i cui traffici sono sempre stati l’anima di quell’ente, che abita in un palazzo di ori e specchi, simbolo della ex potenza genovese.
Dove è la nuova classe dirigente, espressa dalla tanto decantata e sondata società civle, che potrebbe surrogare una politica alluvionata o assente? Nei nuovi settori post industriuali, quelli che dovevano decollare a Erzelli, la collina da cui scendeva verso il suo “contro mano” Burlando e che sono tutt’ora sul filo del rasoio?
Anche qua glu glu o grande fuga, i colossi della Erikssonn e della Siemens, saliti sulla colllina delle speranze, stanno ridimensionando e trasferendo, l’Università di Ingegneria non si trasferirà lassù per coniugare industria e ricerca. Quindi glu glu anche a un possibile terreno fertile, dove maturare nuove figure di leaders.
Nell’high tech, nella robotica che prospera all’IIT, Istituto Italiano di Tecnologia, dove si sfornano giovani Archimedi Pitagorici, di tutte le nazionalità, non ci sono tracce di sedimentazioni genovesi.
La Genova di oggi finisce a mare nel fango dei glu glu e quello splendido dipinto, opera di Jan Massys nel 1561, che raffigura la città e che Giuseppe Marcenaro ha citato in uno splendido recente articolo su “Il Foglio” per rievoicare la potenza genovese e la sua bellezza dominata dal culto del territorio, sembra una visione onirica.
E’ vero: l’autobiografia della città poggia sul denaro con massime di appoggio come quella storica che recitava: “l’oro nasce nelle Indie, muore a Siviglia, viene sepolto a Genova”.
Viene tombato a Genova, verrebbe da dire oggi, qualche secolo dopo il favoloso Cinque-Seicento della grande potenza. Tombato, mentre oggi si tombano non le palanche, ma i torrenti selvaggi. Glu Glu.
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