Veltroni: lezione a D’Alema. E, alla Chatwin, un che ci faccio qui al Pd

di Mino Fuccillo
Pubblicato il 15 Ottobre 2012 - 14:47 OLTRE 6 MESI FA

ROMA – Walter Veltroni ha impartito lezione a Massimo D’Alema, spesso era accaduto il contrario. La lezione di un uomo pubblico che a 55 anni, dopo essere stato vice premier al governo, segretario di partito e candidato premier, valuta che un tal calibro di vita pubblica appunto non si giudica e non si gioca, e non si disperde, sul tavolo, anzi sul seggio di una nomina parlamentare in più o in meno. Lezione ad un uomo pubblico di 63 anni che dopo essere stato ministro e premier e stratega riconosciuto nel partito, dopo aver appreso e comunicato che la politica è molto altro e molto di più che Montecitorio o Palazzo Madama, infila un tal calibro della sua vita pubblica dentro il pertugio stretto di una ricandidatura al Parlamento che vuole essere orgogliosa ma si appalesa soprattutto come tignosa.

Sono entrambi, Veltroni e D’Alema, personaggi e persone di notevole calibro intellettuale e politico e peggio per chi ha sempre e solo bisogno di credere che siano solo idrovore umane di un solo liquido: il potere. Hanno entrambi molto vinto e molto perso, hanno entrambi ormai il capitale culturale, di esperienze e anche economico, quello di una raggiunta agiatezza che ricchezza non è e non deve essere, per sapere che far politica non è solo sedere in Parlamento. Hanno di che saperlo e hanno tutti e due di che poterlo fare: prestigio e forza.  Però uno usa e mette a buon frutto il capitale di conoscenza accumulato, l’altro invece se lo gioca tutto, in intellettuale accesso di superbia, al primo tavolo di chemin de fer, al primo Casinò che apre.

Matteo Renzi c’entra meno di quanto si pensi. Lui ha detto più o meno: tagliamo noi del Pd della metà lo stipendio ai parlamentari, cambiamone due su tre e Beppe Grillo si sgonfia. Parafrasando Renzi si potrebbe dire: una non ricandidatura di Veltroni e D’Alema e la Bindi e qualche Finocchiaro d’aggiunta e Renzi si smonta. Ma non è Renzi o la “rottamazione” la questione. Anche se molti nel Pd, anche ai vertici del Pd e anche se in maniera non del tutto conscia, ormai identificano se stessi con la “mission” politica. Anche se molti nel Pd sono ormai ceto autoreferente che come corporazione reagisce e serra i ranghi. Anche se tutto questo accade, Veltroni non rinuncia a ricandidarsi e D’Alema non molla la candidatura solo per una questione di “rinnovamento” sì, rinnovamento no.

La questione come sanno i due e come possono intuire quelli che li conoscono è, come entrambi vi direbbero, “politica”. La suprema intellettuale superbia di D’Alema gli fa pensare che sia possibile, anzi dovuto, vincere le elezioni e poi governare con un’alleanza elettorale prima con Nichi Vendola e di governo poi con Pierferdinando Casini o chi per lui al “centro”. E’ da sempre l’origami, la costruzione artigianale perfetta e prediletta da D’Alema: il centro sinistra. Quello che si va a costruire dando a Vendola il ruolo del timoniere, a Bersani quello del capitano e a Casini, quando sarà, il ruolo del comandante della Capitaneria del porto che dovrà ospitare, riparare e rifornire la nave, è un centro sinistra di cui ogni mente politica appena lucida non può non vedere il difficile varo, lo sbandamento di stiva, l’improbabile rotta. D’Alema di navi così ne ha viste, oh se ne ha viste…Ma ancora una volta è convinto che se lui farà il cartografo l’improbabile diventerà certo e l’impossibile scalerà a difficoltoso. Per questo non molla, oltre che per dispetto a Renzi. E nella psicologia di D’Alema chi questo non lo capisce non merita il saluto, per manifesta e conclamata “ignoranza”.

Veltroni ha visto la carta di intenti del suo partito, insomma il patto fondante dell’alleanza elettorale e poi di governo “battezzata” dallo sbianchettamento dello stesso nome di mario Monti. Prima c’era nel testo, poi non c’è più. Una cosa, una procedura a metà con il trattamento alle mozioni condominiali e con il metodo Breznev di fare la storia. Prima c’era il grazie a Monti per quanto fatto, poi non c’è più. Perché Vendola non vuole e non ha voluto. Prima c’era nell’orizzonte del Pd la compatibilità con l’Europa, ora è rimasta “salvo rinegoziazione dei trattati”. E anche questo lo ha scritto, anzi fatto scrivere Vendola. Veltroni ha visto che l’alleanza che sta nascendo è la sinistra di sempre, quella e soltanto quella. Nel migliore dei casi la più grande minoranza oggi in Italia. E deve essergli venuto un briido alla Bruce Chatwin, un “che ci faccio qui”? Lui che aveva provato a far diventare “autosufficiente” cioè non dipendente dai Vendola il partito e su questo si era rotto la testa e la fronte, che ci fa lì insieme con Vendola, forse perfino Di Pietro e comunque con i Fassina a rifare la sinistra che tanto vinciamo perché la destra non c’è più e poi si vede? Lui Veltroni lo ha già visto come va a finire e deve aver supposto che la prima volta è stato un incidente, la seconda un errore, la terza un doloroso dramma al quale assistere da lontano.